
La tregua tra Hamas e Israele è certamente una buona mossa. Ma non è tutto. Anzi, a essere sinceri, sembra proprio una pezza cucita di gran corsa su uno strappo che stava diventando una voragine. Intanto, perché tutti i motivi del contendere sono rimasti a bruciare sotto la cenere e poi perché le parti che si confrontano sono tutto meno che dei blocchi monolitici. Insomma, non si spara, ma si potrebbe ricominciare da un momento all’altro visto che il cessate il fuoco si regge su un filo sottilissimo. E’ stato Biden, con una serie di telefonate sempre più tumultuose fatte a Netanyahu, a pretendere o, per meglio dire a imporre, l’armistizio targato Casa Bianca.
Il bandolo della matassa stava ormai sfuggendo di mano a tutti e gli americani, messi spalle al muro anche dalla loro opinione pubblica dovevano pur fare qualcosa. Così Biden ha chiesto a Gerusalemme di smetterla cercando di fare raffreddare un pochino gli animi, visto che la reazione dell’aviazione israeliana cominciava a essere troppo sopra le righe. In cambio, ha promesso indirettamente ad Hamas una barca di dollari, assieme evidentemente agli altri paesi del Golfo, per puntare sulla ricostruzione infrastrutturale ed economica della Striscia di Gaza ormai ridotta a un vero e proprio campo di concentramento a cielo aperto.
Dopo l’ abbattimento in stile “Torri Gemelle” del grattacielo della Striscia in cui si trovavano gli uffici di alcune testate giornalistiche e radiotelevisive estere, la misura era colma. Tra le altre cose, sui quasi 250 morti oltre un centinaio erano rappresentati da donne e bambini. Una “contabilità” intollerabile. Tanto che al Congresso diversi deputati del partito Democratico Usa si sono messi di traverso per ciò che riguarda i possibili rifornimenti di bombe e missili a guida laser da destinare all’esercito con la Stella di David. La fibrillazione nella sua stessa compagine ha indotto Biden a tagliare corto e a chiedere di rendere immediatamente esecutiva una tregua.
Raggiunta l’intesa, Hamas ha subito festeggiato, non solo a Gaza, ma anche sulla Spianata delle Moschee, a Gerusalemme. Per il gruppo fondamentalista islamico si è trattato di un risultato politicamente positivo, che mette praticamente alle strette Abu Mazen e tutta la galassia palestinese legata all’Olp. E qui ritorna d’attualità la riflessione, sulle mancate elezioni che, visti i sondaggi, avrebbero finito sicuramente per dare la maggioranza assoluta ad Hamas e per questo sono state bloccate da una sorta di santa alleanza che vede assieme israeliani, americani, egiziani e altri sunniti moderati.
Obtorto collo, quindi, Netanyahu ha dovuto fare di necessità virtù fermando l’attacco a Gaza e non completando quelle che forse erano le strategie predisposte dallo Stato maggiore di Gerusalemme. In questo senso, il quotidiano Haaretz ha pubblicato un articolo molto dettagliato sui piani predisposti lo scorso ottobre dal generale Aviv Kochavi. Quest’ultimo era stato molto chiaro: nessuna offensiva può dirsi positivamente conclusa se viene condotta solo attraverso “strike” aerei. Perché i bombardieri devastano le postazioni, i bunker e le infrastrutture nemiche, “ma la fanteria conquista il terreno e le postazioni avversarie”.
Che promesse ha avuto Netanyahu da Biden per togliere il dito dal grilletto? Circolano rumors su nuovi possibili scenari di crisi per i quali gli americani si sarebbero impegnati ad intervenire, addirittura ben più direttamente. Si tratta del cosiddetto “fronte nord”, che dall’Alta Galilea, attraverso il Golan porta alle postazioni degli Hezbollah sciiti stanziati dal fiume Litani fino alla Valle della Bekaa. In questo caso si tratterebbe di un confronto ben più pericoloso di quello appena avuto con Hamas. Perché dietro Hezbollah c’è l’Iran degli Ayatollah. E scusate se è poco!
Certo, la guerra di logoramento con Hamas è costata cara a Israele non tanto in termini militari, quanto piuttosto dal punto di vista politico e diplomatico. Probabilmente si è allargato il solco che divide la destra conservatrice di Netanyahu dall’ala progressista del governo dimissionario rappresentata dal ministro della Difesa Benny Gants. E poi, per la prima volta, le minacce balistiche (sono stati sparati migliaia di razzi dalla Striscia di Gaza) non hanno riguardato solo il sud di Israele ma hanno messo in allarme addirittura anche tutta l’area metropolitana di Tel Aviv.
La tensione psicologica che ne è scaturita ha fatto tornare indietro il Paese di parecchi anni, a quando si viveva quasi sotto la minaccia quotidiana degli Scud di Saddam Hussein e si andava a teatro con le maschere antigas.