Sheikh Jarrah, Gerusalemme est, sfratto agli abitanti palestinesi

Sheikh Jarrah, Gerusalemme, sfratto agli antichi abitanti palestinesi

Gli scontri degli ultimi giorni a Gerusalemme, storia nella storia. Il quartiere deve il proprio nome al medico personale di Saladino che nel 1187 riconquistò Gerusalemme sconfiggendo i Crociati. Il medico Hussam al Din era tanto bravo che si guadagnò il titolo di Jarrah, in arabo ‘guaritore’. Da lì il nome del quartiere arabo.
Ancora durante la dominazione inglese, nel quartiere di Sheikh Jarrah vivevano importanti notabili della comunità araba come il gran mufti Amin al Husseini e il sindaco Raghib al Nashashibi.
Ma secondo la tradizione, in una grotta ai margini del quartiere è sepolto Simeone il Giusto, il rabbino che secondo la Bibbia accolse Alessandro Magno quando entrò a Gerusalemme.
Nel 1876 alcuni capi della comunità ebraica comprarono il terreno dove è la tomba di Simeone il Giusto, e nel 1956 Onu e Giordania assegnano alcune case a profughi palestinese. Terra contesa, prima io, no prima io. Oggi i Coloni e le destre che vogliono ridurre la presenza araba a Gerusalemme Est.
Salvo il dettaglio che il 30 per cento delle case di Gerusalemme Ovest ebraica, prima della guerra del 1948 era di proprietà di arabi.
L’attualità da Piero Orteca.

Da Simeone il Giusto ad Hamas

Potrebbe essere questa la sintesi storico-politica che spiega in maniera sintetica l’origine dei furibondi scontri avvenuti venerdì scorso nella Spianata delle Moschee (Monte del Tempio) di Gerusalemme. Il bilancio è quello di un vero e proprio bollettino di guerra: due morti e 205 feriti tra i manifestanti palestinesi e 17 feriti tra le forze antisommossa israeliane. La cronaca è scarna, anche se sanguinosa e contraddistinta da un’atmosfera da vero e proprio Armageddon. Oltre 70 mila fedeli palestinesi si sono raccolti per la preghiera del venerdì nella moschea di Al- Aqsa, luogo sacro dell’islamismo e centro palpitante della religione coranica specie in questo periodo di Ramadan. Uscendo dal sacro edificio molti dei fedeli, specie i più giovani, hanno cominciato a protestare e a scagliare sassi contro la polizia a cavallo e alle squadre appiedate antisommossa immediatamente spedite dal governo israeliano per cercare di controllare possibili disordini. E qui bisogna fare un passo indietro e offrire ulteriori spiegazioni che non si fermano soltanto alla tradizionale inimicizia israelo- palestinese.

Ebraizzazione della Gerusalemme araba

In due parole, un “affaire” di colonizzazione forzata che coinvolge ebrei di derivazione sefardita e ashkenazita (siamo a metà dell’800) e arabi insediatisi a Gerusalemme Est nel quartiere di Jarrah Sheikh dopo la guerra del 1948. A farla corta, gli ortodossi e i partiti della destra israeliana vogliono sfrattare dalle loro case i palestinesi che più o meno legalmente si sono insediati a Gerusalemme Est oltre 70 anni fa. E tutto questo vantando presunti diritti risalenti all’acquisto di terre adiacenti al sepolcro di Simeone il Giusto. Ora, giusto o sbagliato che sia ( non Simeone, è chiaro, ma il pretesto degli ortodossi Ashkenaziti) il problema è finito, di tribunale in tribunale, davanti alla Corte costituzionale. E non bisogna essere esperti di politica internazionale, per capire che non si tratta di una questione immobiliare, ma di una ben più ponderosa e spinosa diatriba capace di aprire voragini senza fondo. Insomma, una sentenza maldestra potrebbe gettare tonnellate di kerosene su un incendio che già divampa senza controllo.

A parti invertite (ma mai pari)

Anche perché, a parti invertite, cioè parlando di Gerusalemme ovest, almeno il 30 % delle proprietà oggi possedute dagli israeliani, seguendo la stessa logica giuridica, dovrebbero tornare in mani palestinesi. In definitiva, per dirla col più Grande di tutti e che quelle lontane contrade le bazzicava e le conosceva benissimo “Chi è senza peccato scagli la prima pietra”. I palestinesi di Al-Aqsa, anche se sono di un’altra religione (ma Lo ammirano) di pietre ne hanno scagliate 70 mila. E veniamo ora ad Hamas. Quando i furbi, i parolai e i taglianastri si squagliano ( succede anche dalle nostre parti) quelli duri, sporchi e cattivi entrano in gioco. Ma non si può dire che siano sempre i peggiori. Hamas ha una cattiva fama, un po’ meritata e un po’ costruita a tavolino anche dai suoi nemici. Tra cui, permetteteci di catalogare anche Al Fatah, il gruppo che era capeggiato da Harafat e che oggi è comandato da Abu Mazen. Li definiremmo come i palestinesi in doppio petto, con tanto di cravatta e registratore di cassa, perché sono coloro che più di altri hanno beneficiato degli aiuti che arrivano dall’Occidente , dall’Arabia Saudita e dagli Emirati del Golfo.

Fratture interne palestinesi

Hamas regna incontrastato sulla Striscia di Gaza ed ha una filosofia di comportamento verso i palestinesi che è più “popolare” di Fatah. Insomma, è più vicina alla gente. Se si fossero fatte le elezioni le avrebbe vinte e sarebbe stato un interlocutore abbastanza scorbutico. Per questo gli americani hanno “ consigliato” ad Abu Mazen di soprassedere e di rinviare un po’ di democrazia a data da destinarsi.. Almeno fino a quando non saranno sicuri che Hamas non sarà messo in condizioni di non fare “danno” politico oltre che militare. Dietro il macello avvenuto venerdì sulla Spianata delle Moschee, c’è dunque anche Hamas che più passa il tempo e più ruba la scena agli incravattati e panzuti cugini di Al Fatah. Con alle viste un nuovo governo di coalizione israeliano di centrosinistra (Bennet-Lavine), certo sarebbe interessante vedere come funzionerebbe un eventuale dialogo con chi in questo momento, pur essendo catalogata come organizzazione terroristica, rappresenta forse meglio di tutte le altre il vero sentire del popolo palestinese: Hamas.

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