
Più che altro è cambiato il linguaggio, giacché il nuovo presidente usa parole molto più forbite del suo predecessore. Fornisce inoltre un’immagine più rassicurante, da buon nonno in grado di ammansire i nipotini.
E qui il mutamento c’è sul serio, se appena si rammentano le sfuriate in TV di Trump, i suoi continui litigi con i media e gli altrettanto frequenti licenziamenti di collaboratori anche importanti.
Ma nella sostanza, in fondo, cosa cambia? Il repubblicano era stato attaccato per il suo progetto di lasciare l’Afghanistan dopo una guerra lunghissima e inutile. Si temevano inoltre le vendette dei talebani, che notoriamente non vanno per il sottile, nei confronti dei larghi strati della popolazione che non gradiscono la dittatura religiosa.
Ebbene, Biden ha atteso qualche mese, giusto per rispettare i tempi del suo insediamento, e sta seguendo per filo e per segno le orme del cattivissimo Trump. Non si capisce nemmeno se le garanzie fornite dai talebani all’ex presidente repubblicano verranno rispettate. Conoscendo il loro fanatismo, i dubbi sono più che leciti.
Ancora peggiore è la situazione se si nominano Nato e Russia. Trump non vedeva affatto con favore la vecchia Alleanza Atlantica, considerandola un residuo del passato.
Biden la sta invece utilizzando a piene mani in funzione anti-russa. Vede Vladimir Putin come il suo principale avversario e sta promuovendo con forza l’espansione della Nato a oriente, venendo così meno ai vecchi accordi con Gorbaciov.
Non solo. Alla Federazione russa non riconosce alcun diritto di difendere le popolazioni russofone che vivono nelle due Repubbliche separatiste dell’Ucraina, ma anche in molti altri territori della ex Unione Sovietica.
Spinto da un Segretario di Stato di origine ucraina, Antony Blinken, Biden sembra disposto a sfidare Mosca pure sul piano militare, senza molto curarsi delle possibili conseguenze.
Non solo. Sembra anche disposto a contestare l’influenza che la Russia ancora esercita sulle Repubbliche ex-sovietiche dell’Asia centrale, non tenendo conto del fatto che in molte di esse operano gruppi di fanatici islamisti che, senza il sostegno di Mosca, sarebbe difficile tenere a freno.
Nel frattempo il neopresidente Usa si è ben guardato dal polemizzare con la Cina oltre certi limiti. Eppure, già in campagna elettorale, aveva individuato nella Repubblica Popolare un avversario strategico di grande pericolosità.
Ma forse è più facile mettere la Russia nel mirino. Dopo tutto Biden ha 78 anni e ricorda bene la Guerra Fredda con l’ex-Urss, mentre conosce meno il regime cinese. Eppure, se rammentiamo che la difesa dei diritti umani è il suo interesse principale, anche in questo caso dovrebbe considerare Pechino più pericolosa di Mosca.
Non mi accodo quindi all’entusiasmo per la presidenza Biden né a quello concernente la sua evidente antipatia per i russi. E mi spingo fino al punto di sostenere – pur sapendo di essere in minoranza – che per molti versi, in politica estera, il reazionario Trump era migliore del progressista Biden.