Azerbaijan-Armenia: «Tortura nelle carceri di Baku». E a fine Ramadan arriva Erdogan

La tregua di novembre tra Armenia e Azerbaijan, con Mosca chiamata a fare da arbitro, e come se tutto fosse finito, il mondo ad occuparsi d’altro: pandemia, vaccini e altre guerre ufficialmente ancora in corso. Tregua formale che non ha certo sopito le aspre contese e le velenose accuse fra Baku, la vincitrice, ed Erevan, la capitale armena da allora in una crisi politica di difficile soluzione.

La partita geopolitica in Nagorno-Karabakh segnerà una nuova, forse determinante mossa, con l’annunciata visita nella regione contesa del presidente turco Erdogan a metà maggio, appena concluso il Ramadan.

Nel frattempo dopoguerra delle crudeltà

«A fine marzo un rapporto di Human rights watch, dopo aver esaminato video diffusi sui social e intervistato ex detenuti, accusava l’Azerbaijan di aver sottoposto ad ‘abusi e tortura’ soldati e civili armeni, prigionieri di guerra tuttora detenuti in carcere», riferisce Luca Geronico su Avvenire. Di pochi giorni dopo l’appello di alcuni intellettuali italiani tra cui Antonia Arslan, Dacia Maraini e Carlo Verdone che, citando il dossier dell’organizzazione umanitaria con sede a New York, chiedevano al governo di Baku un rilascio immediato dei detenuti in base alla Convenzione di Ginevra e al cessate il fuoco concordato del 10 novembre.

‘Tutti liberi o terroristi’

I prigionieri, replica l’ambasciatore azero in Italia Ahmadzada, sono stati tutti liberati, mentre gli almeno 67 detenuti di cui parla Hrw, sono dei terroristi. Un classico di tutte le guerre. I 67 detenuti (e torturati, dice HRW) farebbero parte di un «gruppo di sabotaggio» entrato in Azerbaijan per «commettere atti di terrorismo» e che, colpevoli «dell’uccisione di civili e militari azerbaigiani», per questo sono detenuti e, precisa il diplomatico, ma «trattati nel rispetto del diritto internazionale». Anzia, i cattivi sono sempre gli altri, e anche quei siamo al copione classico.

Le accuse ribaltate contro l’Armenia

L’ambasciatore Ahmadzada accusa anzi l’Armenia: «Erevan continua a violare il diritto di ritorno dei profughi azerbaigiani alle proprie terre», mentre presidente dell’Azerbaijan ha chiesto all’Armenia di consegnare le mappe dei «territori liberati dove sono presenti mine anti-uomo che causano morti fra i civili».

Tutti accusano o negano senza riscontri

«È solo uno degli argomenti narrativi del regime dell’Azerbaijan che, usando come scudo internazionale la Turchia, ha sempre attuato un chiaro negazionismo dei suoi crimini», la replica della scrittrice Antonia Arslan, l’autrice del famoso romanzo La masserie delle allodole, dedicato al genocidio armeno del 1915. «In Nagorno Karabakh è rientrata solo la metà dei 150mila armeni fuggiti durante gli scontri. Una popolazione a rischio di un nuovo genocidio culturale e per cui non c’è nessuna forma di tutela internazionale».

L’unica tutela è quella di Mosca che non può permettere un predominio incontrastato di Erdogan nel Caucaso.

Presidente turco sul fronte armeno, tragiche memorie

«Il reís turco andrà nella città di Shusha – da sempre contesa e divisa a metà tra quartieri cristiani armeni e quartieri musulmani azeri – riconquistata dalle forze dell’Azerbaijan lo scorso novembre e che, posta su una collina strategica, consente il controllo di tutta l’enclave armena». Un passo importante nella strategia neo-ottomana di Ankara –sottolinea Luca Geronico-, per realizzare un “corridoio turco” che, attraverso l’Azerbaigian, potrebbe sospingere l’influenza politica della Turchia fino alle ex repubbliche sovietiche dell’Asia centrale.

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