Dispotismo, guerre e grandi opere ormai senza soldi. Tramonto di Erdogan?
Dispotismo, guerre e grandi opere ormai senza soldi. Tramonto di Erdogan?

«Il Kanal Istanbul è pericoloso». Arrestati 10 ex ammiragli turchi firmatari della lettera aperta contro il mega progetto infrastrutturale. Erdogan: «Golpisti». Il Kanal Istanbul, in stile Suez e Panama, avrebbe una lunghezza di 45 km e un costo stimato di 9,2 miliardi di dollari. Permetterebbe il transito di 160 navi al giorno, alleggerendo il Bosforo, tra i più affollati del mondo (53mila navi l’anno, contro le 19mila di Suez).
Ma il problema vero per la Turchia non è tanto l’impatto ambientale devastante della grande opera e l’assenza di soldi, quanto l’epilogo isterico della presidenza del despota Recep Tayyip Erdogan.

Due decenni di successi pessimo finale

La parabola politica di Recep Tayyip Erdogan sembra ormai volgere al tramonto dopo quasi due decenni di successi ininterrotti. E questo nonostante le misure liberticide e illiberali che il “Sultano” adotta senza remore da molti anni a questa parte.
Il suo stesso “Partito per la Giustizia e lo Sviluppo” (AKP), da lui fondato nel 2001, è profondamente spaccato con la fuoruscita di numerosi esponenti di rilievo. Tra essi spicca il cofondatore dell’AKP Abdullah Gul, già presidente della Repubblica e ispiratore del “Partito della Democrazia e del Progresso” (DEVA), schierato su posizioni liberali e filo-occidentali.
La lotta serrata di Erdogan contro ogni tipo di opposizione è frenata dalle gravi difficoltà economiche che il Paese sta attraversando. La Lira turca ha subito un tracollo nei mercati valutari, e l’intervento governativo non è servito a frenarne la caduta.

Grandeur politica a troppo caro prezzo

Le opposizioni criticano pesantemente l’attuale presidente accusandolo di sprecare denaro pubblico nei numerosi interventi armati dell’esercito e della flotta turchi all’estero: in Siria, in Libia e in Azerbaijan per appoggiare gli azeri contro gli armeni.
Il fatto è che tali interventi sono essenziali per Erdogan, poiché gli consentono di dare corpo alla sua strategia neo-ottomana, la quale punta a rafforzare il ruolo del Paese come grande potenza regionale, erede dell’impero ottomano, già alleato della Germania, e dissolto dopo la vittoria delle potenze alleate nella prima guerra mondiale.
Parallelamente, a Erdogan interessa ristabilire la presenza turca nel Mediterraneo. Pur facendo ancora parte della Nato, non ha esitato ad esacerbare le tensioni con altri membri dell’Alleanza Atlantica. In primo luogo con la Grecia, ma lo stesso discorso vale per la Francia, gli Usa e la stessa Italia.

Opposizioni interne e galere

D’altra parte, la partita che il leader turco sta giocando sul fronte interno è molto pericolosa e può condurre a risultati che non gli sono graditi. Sta infatti cercando di depotenziare e isolare tutti i partiti politici che gli sono ostili.
Come sempre l’obiettivo primario è costituito dai curdi, che dominano la terza forza politica del Pase, lo HDP (“Partito Democratico dei Popoli”). L’intenzione di Erdogan è metterlo fuori legge, interdendo dall’attività politica 687 dei suoi membri per il loro presunto appoggio a non meglio specificate “attività terroristiche”.
Forte è l’opposizione della seconda maggiore forza politica turca, il CHP (“Partito Repubblicano del Popolo”), erede della tradizione laica inaugurata dal fondatore della Turchia moderna Mustafa Kemal “Ataturk”.

Turchia ‘erdoganizzata’, troppi incapaci al comando

Ad esso appartengono, tra l’altro, molti sindaci delle maggiori città, tra cui Istanbul e Ankara. Il fatto è che, dal 2018, l’AKP di Erdogan non ha più la maggioranza assoluta in Parlamento, e nel 2019 ha patito pesanti sconfitte in tutti i grandi centri urbani, confermando la sua forza solo nelle campagne.
Proprio per questo la strategia dell’attuale presidente sta diventando sempre più pericolosa. Per conquistare i voti mancanti si sta alleando con le forze islamiche più estremiste e, soprattutto, con l’estrema destra nazionalista e panturca che fa riferimento ai “Lupi grigi”.
Uno scenario inquietante, dunque. Anche perché Erdogan ha promosso militari a lui fedeli nelle forze armate e, per depotenziare la protesta studentesca, sta imponendo suoi fiduciari ai vertici delle università.

Tramonto tempestoso

A questo punto è chiaro che il “Sultano” teme il voto popolare ed è disposto a tutto per impedire che la maggioranza degli elettori gli si rivolti contro. Non è dunque azzardato parlare del suo “tramonto” dopo decenni di potere incontrastato, un tramonto che avrebbe ovviamente grandi ripercussioni anche sul piano internazionale.

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