
A Vienna, nella notte tra il 24 e il 25 maggio 1913, quattro uomini bussarono alla porta della stanza numero ‘1’ dell’hotel Klomser nella Heerengasse. Con notevole imbarazzo aprì la porta dell’elegante suite l’ospite stesso che ricevette in consegna una piccola pistola Browning. Dopo una certa attesa si udì una detonazione e non restò altro che constatare il suicidio «per cause ancora sconosciute» del colonnello di stato maggiore Alfred Redl: in una nota ufficiale del ministero si parlò di una possibile grave depressione. In realtà, il pomeriggio precedente, due agenti in borghese avevano pedinato il soggetto dopo che aveva ritirato da un ufficio postale una busta che si scoprì in seguito conteneva una notevole somma di denaro. Nel taxi che lo aveva ricondotto in albergo aveva smarrito il fodero di un piccolo tagliacarte e, quando gli agenti glielo avevano mostrato, aveva perfino candidamente ringraziato, confermando indirettamente però di essere il destinatario del plico prezioso. Il denaro proveniva da agenti russi e costituiva il pagamento di informazioni militari vendute dal colonnello. Data la natura della vicenda essa fu solo sussurrata a corte all’orecchio dell’imperatore, mormorata al ministero e allo stato maggiore, mentre la stampa fu rigorosamente mantenuta all’oscuro, soprattutto perché Alfred Redl era anche il capo del controspionaggio, ovvero colui il quale avrebbe dovuto dare la caccia alle spie.
Domenica 27 maggio a Praga accadde un fatto casuale che però costituì l’inizio di altra vicenda derivante dalla prima: un fabbro e un giornalista, entrambi appassionati di calcio e che militavano nella stessa squadra, scambiarono poche parole nello spogliatoio dopo la partita. Il fabbro raccontò che il giorno prima la polizia gli aveva chiesto di scassinare un’abitazione privata e di aprire la cassaforte e tutti i cassetti dei mobili che si trovavano all’interno.
Il proprietario era un colonnello dello stato maggiore e il giornalista si ricordò allora della notizia che era stata appena diffusa in sordina sulla morte a Vienna di Alfred Redl. Il fabbro descrisse la fretta e l’irritazione dei funzionari, ma anche altri dettagli, come ad esempio che nell’abitazione si trovavano vari e sofisticati congegni per impedire effrazioni, due o tre macchine fotografiche nascoste e un sistema di microfoni per ascoltare da una stanza all’altra eventuali conversazioni. Era più che evidente – pensò il giornalista ceco Egon Erwin Kisch – che si trattava di una storia ben diversa da quella sostenuta dalle imperiali e regie autorità a proposito del suicidio «per cause ancora sconosciute» del colonnello. Un primo articolo che ipotizzava una vicenda di spionaggio con la Russia apparve sul giornale praghese «Bohemia» il 28 maggio e scoppiò subito il finimondo.
La vicenda di Redl fu l’ultima in ordine di tempo prima del fatale 1914 e forse la più clamorosa, ma in precedenza altre storie di spionaggio avevano agitato l’opinione pubblica europea: basti ricordare l’affaire Dreyfus in Francia o quella meno nota delle spie francesi catturate in Germania nel 1893 per aver osservato con ‘attenzione sospetta’ le fortificazioni dell’isola di Helgoland o il timore di spie tedesche diffuso in Inghilterra, dove – accanto al filone letterario popolare dei libri gialli – erano apparse le prime spy stories divorate dai lettori. Più o meno dal 1910 inoltre la polizia austriaca sorvegliava tutte le frontiere, ma in particolar modo quelle con l’Italia e la Russia, ponendo ad esempio attenzione maniacale anche ai turisti italiani o agli alpinisti (e ciò non significa però che avessero del tutto torto, perché una rete informativa italiana esisteva comunque ed era molto efficiente). Da una parte insomma le notizie provocavano inquietudini e sospetti, ma dall’altra la Belle Epoque continuava tra balli e feste eleganti, ignara che quel mondo sarebbe finito all’improvviso per altri colpi di pistola sparati esattamente tredici mesi dopo la conversazione di Praga nello spogliatoio dello stadio, e cioè domenica 28 giugno a Sarajevo.