
Richiesta semplice e chiara: il rimpatrio dei 212 container di rifiuti bloccati nel porto di Sousse da quando, a novembre 2020, le autorità tunisine hanno aperto un’inchiesta sull’arrivo di 12mila tonnellate di balle provenienti dal porto di Salerno. Durante la manifestazione, c’era anche chi impugnava le foto dei migranti dispersi in mare: «Veniamo respinti e pure usati come discarica».
Il silenzio anche giornalistico italiano, ma una bomba politica in Tunisia, dove lo scandalo dei rifiuti campani ha costretto alle dimissioni dell’ex ministro dell’ambiente tunisino Mustapha Laroui, attualmente in carcere, ancora sotto indagine. Da noi neppure un piccolo assessore risulterebbe indagato.
«Dalla pubblicazione dei primi documenti il 2 novembre 2020 in una video-inchiesta del programma tunisino Le Quattro Verità sul canale privato El-Hiwar Ettounisi, l’opinione pubblica del paese nordafricano non ha mai smesso di chiedere spiegazioni su come 282 container ufficialmente carichi di rifiuti domestici (191212 secondo il Catalogo Europeo dei Rifiuti) siano potuti sbarcare in Tunisia, un paese dalle discariche sature, che non riesce a smaltire i propri rifiuti», precisa Arianna Poletti.
Magistratura tunisina severa, i 212 container che non sono mai stati scaricati (70 sono infatti sono già usciti dal porto) devono essere rispediti al mittente al più tardi entro 90 giorni dall’attivazione della procedura in caso di sospetto traffico illecito. Ma la data limite per il rimpatrio è già scaduta: il carico sarebbe dovuto partire per l’Italia il 24 marzo, ma la società all’origine della richiesta di esportazione – la Sviluppo Risorse Ambientali del comune di Polla (Salerno) – e la regione Campania, che ha rilasciato le autorizzazioni all’export, si rimbalzano la responsabilità.
Per Nidhal Attia dell’associazione Tunisie Verte, il Paese non può attendere i tempi della giustizia italiana: «A rimetterci siamo noi».