Il diritto rivoluzionario alla bellezza, per restare umani
Il diritto rivoluzionario alla bellezza, per restare umani

Quanta fatica facciamo, vivendo nella pioggia brutale di paure e ignoranza (quella piatta e ricchissima, fatta di conoscenze moderne destinate a essere obliate, prive di radici). Eppure, sui sentieri meno battuti dalla spettacolarizzazione mediatica, continuano a risuonare insegnamenti sapienti che non hanno tempo, che ci ricordano l’umanità necessaria, che riportano quindi al cuore la nostra matrice, spesso sconfitta, che sempre rinasce.

Nel primo pezzo del 2021, intitolato Madre, Polemos celebrava il diritto rivoluzionario alla bellezza e al coraggio di agire in modo sovversivo fuori dagli schemi binari del tempo, dove tutto è scritto e niente è meraviglia. Mi aspettavo più polemiche, e anche più critiche. Invece ho còlto gentilezza e condivisione, quasi una necessità inespressa di uscire dal viavai frenetico delle cose d’ogni giorno. Di sottrarsi, mentre tutti ci chiedono di aggiungere; di dire tutto su tutti, di esserci sempre e comunque, di non avere più neanche uno spazio di riflessione o di pudore. Come se ci fosse un pilota automatico che guida le vite di ognuno.

Così torno su questi sentieri nascosti, anarchici e sacri. Quando tutto quello che ci governa è pragmatico e tecnico occorre sovvertire le regole e riprenderci libertà e creatività. Ripensare alla Madre. Che è terra e sogno, utopia e radici, amore e coraggio, pietra, rivoluzione, destino e legame. Non m’interessano i pensatori pallidi del conformismo mediatico del tempo, quelli che di fronte alla spiritualità dell’intelligenza, voltano il pensiero altrove. Al meccanicismo dell’esistenza, mediatico per lo più, piatto e inefficace per quanto è utile e perfettamente aderente agli script del tempo.

Voglio citare due esempi tanto diversi tra di loro. Recentemente Tomaso Montanari, parlando della Madonna Sistina di Raffaello, ha evidenziato quanto l’assenza di sguardo, di sacro e di profondo ci stia facendo scivolare nel baratro delle parole inutili e usurate da un uso spregiudicato. Nel testo una citazione lunga e straordinaria di Vasilij Grossman, scrittore, che racconta quando il 30 maggio del 1955 vide il quadro a Mosca, prima della sua restituzione alla Germania Est.

“Perché il volto della madre non tradisce paura, e perché le sue dita non stringono il corpo del suo bambino con una forza che nemmeno la morte riuscirebbe a sconfiggere? Perché non fa nulla per sottrarre il figlio al suo destino? (…) La nostra epoca guarda la Madonna Sistina e intuisce il proprio destino. Ogni epoca fissa lo sguardo su questa donna con il bambino in braccio, e fra esseri umani di generazioni popoli, razze e secoli diversi si instaura un senso di fratellanza, dolce, commovente e doloroso insieme. L’uomo prende coscienza di sé e della propria croce, e comprende di colpo il legame prodigioso fra le epoche, il legame di quanto è vivo oggi con ciò che vivo lo è stato e non lo è più, e con ciò che invece ancora deve esserlo. (…) Il ricordo di Treblinka era riaffiorato nel mio cuore senza che me ne rendessi conto… Era lei a calpestare scalza, leggera, la terra tremante di Treblinka, lei a percorrere il tragitto da dove il convoglio veniva scaricato fino alla camera a gas. La riconosco dall’espressione che ha sul viso, negli occhi. Guardo suo figlio, e riconosco anche lui dall’espressione adulta, strana. Così dovevano essere madri e figli quando scorgevano le pareti bianche delle camere a gas di Treblinka, sullo sfondo verde scuro dei pini. Così era la loro anima. […] La forza della vita, la forza dell’umano nell’uomo è enorme, e nemmeno la forma più potente e perfetta di violenza può soggiogarla. Può solamente ucciderla. Per questo i volti della madre e del bambino sono così sereni, sono invincibili. In un’epoca di ferro la vita, se anche muore, non è comunque sconfitta. (…) E accompagnando con lo sguardo la Madonna Sistina, continuiamo a credere che vita e libertà siano una cosa sola, e che non ci sia nulla di più sublime dell’umano nell’uomo. Che vivrà in eterno, e vincerà”.

Scrive a commento Montanari: “Eccoci dunque alla mèta: l’incarnazione di questa parola perduta, bellezza. Che qui è intesa nell’unico modo per me possibile: come suprema espressione dell’umano nell’uomo, della nostra comune umanità: sempre sconfitta, sempre risorgente. Bellezza. Non c’è forse parola che sia pronunciata, oggi, con più inconsapevolezza e superficialità: ma abbiamo bisogno di parlare di bellezza, per saperla riconoscere, coltivare, difendere. Ne abbiamo bisogno perché abbiamo bisogno di restare, di tornare, umani. Grossman aveva attraversato il buco nero dei campi di sterminio nazisti, e contemplava la prossimità di una possibile catastrofe nucleare. Noi misuriamo i passi veloci che potrebbero separarci dalla fine della vita umana sul pianeta, assistiamo al tratto finale di un possibile suicidio di massa di un’umanità travolta dall’avidità della sua piccolissima parte che ha sequestrato per sé i beni comuni. In queste condizioni, il diritto alla bellezza è un diritto rivoluzionario: perché, permettendoci di rimanere umani, può permetterci di meritarci la salvezza. Forse, perfino di costruirla”.

Una Madonna con bambino. Un mistero che agisce nella profondità del nostro essere. La Madre che genera vita e nella semplicità sfida nei tempi la brutalità di un’umanità votata all’autodistruzione pur di proteggere i suoi meccanismi di feroce ingiustizia. Pur di vivere col pilota automatico della crudeltà sociale.

Risuonano nella testa le parole di Gian Mario Andrico, sapiente, mentre parla dell’Annunciazione del Beato Angelico dipinta nel 1435 a Cortona, e di come sia “in grado di edificare il mondo, raccontando il dramma della cacciata del Paradiso con ritmo lento, un movimento che il nostro tempo ha dimenticato; di insegnare quella fraternità cosmica tra natura e uomo di cui l’umanità non comprende più la valenza. Di dipingere quello stupore religioso che nessuno sa più come raggiungere”.

Pensiamo al modo di vedere e pensare alle cose di ogni giorno imposto da una cultura dell’intrattenimento dominante e riflettiamo su quello che perdiamo ogni volta che cediamo al conformismo della vita, alla bruttezza che incarna, all’ingiustizia umana che promana. Occorre sottrarci ed essere costruttori, non di ponti, autostrade, cemento e tunnel, ma del diritto rivoluzionario alla bellezza, del diritto a restare umani. E di pensieri e parole che abbiano dentro quel caos necessario per non allinearsi come soldatini obbedienti.

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