
«Il documento di 100 pagine affronta la sicurezza nazionale, la politica estera e il nostro approccio all’economia globale insieme, definendo la visione del Primo ministro per il Regno Unito nel 2030 e come utilizzeremo l’intera gamma della nostra politica internazionale per raggiungerla». perché in questo anno cruciale, la Gran Bretagna liberata dall’Unione, ricorda GOV.UK, avrà la Presidenza del G7, «e ci prepariamo a ospitare il vertice COP26».
«La revisione affronta le sfide e le opportunità che il Regno Unito deve affrontare in un mondo più competitivo, dove le nuove potenze stanno utilizzando tutti gli strumenti a loro disposizione per ridefinire l’ordine internazionale e – in alcuni casi – minare il sistema internazionale aperto e liberale che è emerso in seguito della Guerra Fredda».
«Il Regno Unito è unicamente internazionale per prospettive e interessi». «La NATO, è il fondamento della difesa e della sicurezza nell’Euro-Atlantico», ma.. . «Il Regno Unito non può fare affidamento esclusivamente su un sistema internazionale sempre più obsoleto per proteggere i nostri interessi e promuovere i nostri valori». Quindi: «Nuova politica estera del governo e maggiore attivismo internazionale».
Data la delicatezza dell’argomento, andiamo alla sintesi della BBC. «Il governo ha delineato una revisione delle politiche estere e di difesa del Regno Unito. Gli annunci includevano l’inversione dei piani per ridurre le scorte di armi nucleari e uno spostamento dell’attenzione sull’Asia, insieme agli aumenti della spesa per la difesa annunciati a novembre».
Boris Johnson: “Il più grande investimento nelle nostre forze armate dalla Guerra Fredda”
BBC: «Guardando indietro ai dati dal 1990 – visti da molti come la fine della Guerra Fredda, con la caduta del Muro di Berlino nel novembre 1989 – è chiaro che le spese militari sono diminuite considerevolmente». Aumento della spesa militare entro il 2024-25 di 7 miliardi di sterline all’anno, la promessa. «Ma 7 miliardi di sterline per un valore di circa lo 0,35% del PIL, non sono sufficienti per spingere la spesa per la difesa sopra il 3,5% del PIL che rappresentava nel 1990».
Secondo l’Institute for Fiscal Studies, tra il 2010 e il 2017, la spesa annuale per la difesa è diminuita di 6,6 miliardi di sterline in termini reali rispetto al budget 2009-10. Anche se resta una enormità, sottratta ad altre esigenze pubbliche. Comunque tagli, ma quali? «Tagliare temporaneamente il budget per gli aiuti internazionali, dallo 0,7% allo 0,5% del reddito nazionale lordo». Tagliare ai poveri e ai più disgraziati, spiega Boris, costretto a fare di necessità virtù.
«Nel 2020, le Nazioni Unite hanno affermato che il Regno Unito è il terzo più grande donatore globale, dietro gli Stati Uniti e l’Arabia Saudita e davanti alla Germania e alla Commissione europea». Ma gli aiuti britannici allo Yemen, che attualmente sta attraversando la peggiore crisi umanitaria del mondo, stanno diminuendo drasticamente.
E in una recente conferenza dei donatori, sempre secondo le Nazioni Unite, il Regno Unito ha promesso $ 123 milioni (£ 87 milioni) -poco più della metà della cifra dello scorso ann – mentre la Germania ha promesso $ 245 milioni.
Boris d’Asia lo chiama un po’ beffardo Antonello Guerrera su Repubblica. Sintesi della sintesi, «Johnson costretto a ristabilirsi pesantemente in Oriente e sfidare a viso aperto la Cina, il principale avversario del Regno Unito dopo la Russia “nemico numero uno”». Con Londra che si allineerà decisamente agli Stati Uniti di Joe Biden e si staccherà dal credo di molte altre cancellerie europee. Ed ecco la nuova portaerei HMS Queen Elizabeth, a maggio in rotta verso oriente ospitando i caccia F35 dei Marine americani «per mostrare che Uk e Usa possono operare fianco a fianco anche in quest’area».
Il Regno Unito, dopo l’addio al mercato unico europeo, ha bisogno di un grosso sfogo di libero scambio. L’obiettivo principe di Londra è di entrare nel Cptpp, il vecchio accordo commerciale abbandonato dagli Stati Uniti. «Per il governo Johnson è una miniera d’oro: oltre 10 miliardi di euro di commercio da iniettare nel proprio Pil».