Polonia e Ungheria, sovranismi autoritari contro l’Ue ma con i suoi soldi
I due Stati impugnano davanti alla Corte europea la clausola sul budget Ue che per l’accesso ai fondi comunitari impone il rispetto dello stato di diritto. Sovranisti incalliti, autoritarismi illiberali e peggio in casa, rigettano le regole di democrazia firmate con l’Ue ma vogliono sempre i suoi soldi. Per la libertà di stampa repressa o minacciata, la piccola Slovenia insegue.
Autoritarismi senza pudore
Da tempo entrambi i Paesi sono guidati da governi semi-autoritari che violano sistematicamente i valori contenuti nei trattati europei: non rispettano i diritti delle minoranze etniche e degli oppositori politici, riempiono i tribunali di giudici fedeli più che competenti, restringono la possibilità di ricorrere all’interruzione di gravidanza, esercitano un controllo oppressivo sui media e indirizzano fondi pubblici – anche quelli europei – verso un ristretto circolo di sostenitori.
Ricorso giudiziario a scansare la punizione
La Polonia e l’Ungheria hanno impugnato davanti alla Corte europea il meccanismo dello stato di diritto contenuto nel bilancio europeo. La Corte dovrà verificare se sia legittimo un taglio delle risorse previste dal bilancio Ue, in caso di violazioni in materia di Stato di diritto.
Commissione: ‘Non è una sorpresa’
«Avendo seguito il dibattito sul meccanismo per legare l’assegnazione fondi Ue al rispetto dello stato di diritto e stando alle conclusioni del Consiglio europeo dello scorso dicembre, la decisione odierna di Ungheria e Polonia non è una sorpresa», commenta un portavoce della Commissione europea. «Aspetteremo la decisione della Corte, siamo molto fiduciosi sulla correttezza legale di questo regolamento», ha sottolineato il portavoce. «Tutti gli Stati membri hanno il diritto di ricorrere alla Corte di giustizia». Sottinteso, ‘ma chi sbaglia paga pegno’.
Più isolati, più prepotenti
A causa dello scontro sul meccanismo dello stato di diritto, Budapest e Varsavia avevano a lungo minacciato di bloccare, alla fine del 2020, l’approvazione del bilancio 2021-2027 e del Recovery fund, sollevando un vero e proprio caso nell’Unione: nessun vincolo di democrazia interna o non votiamo il bilancio dell’Unione e gli aiuti per la pandemia), il vergognoso ricatto. Grazie alla mediazione tedesca, che all’epoca aveva la presidenza del semestre europeo, i due Paesi alla fine, avevano approvato il bilancio insieme agli altri 25. La possibilità di un ricorso alla Corte Ue era però contenuta in un allegato, ed era parte del compromesso trovato con Berlino. E i due governi avevano già annunciato che se ne sarebbero serviti.
Destra UngroPol più Slovenia, stampa a guinzaglio
Parlamento europeo. Dibattito di mercoledì con la commissaria Jourová e il segretario di Stato portoghese Zacarias. «I leader forti sono quelli che ottengono rispetto attraverso la loro azione, che accettano la diversità di opinioni e che permettono ai cittadini di essere debitamente informati, non quelli che vogliono mettere il silenziatore alle voci critiche». Schiaffi virtuali della vicepresidente della Commissione Ue, Vera Jourova nel dibattito sulla libertà dei media in Ungheria, Polonia e Slovenia al Parlamento europeo.