
«Campagna degli 007 russi contro i vaccini occidentali», titola il Wall Street Journal. Ormai anche l’ex mitico e supercativo Kgb occidentalizzato tra le spie. Ma sempre cattivi restano. Nel mirino il siero americano Pfizer. Rilancio Ansa: «L’intelligence di Mosca ha montato una campagna per minare la fiducia nel vaccino americano Pfizer e negli altri vaccini occidentali, usando negli ultimi mesi pubblicazioni online che ne hanno messo in discussione l’efficacia e la sicurezza, anche per promuovere il russo Sputnik».
Va precisato e ripetuto che il Wall Street Journal lo scrive citando un dirigente del Global Engagement Center del dipartimento di Stato americano che si occupa delle attività di disinformazione straniera. Quattro le pubblicazioni identificate, ritenute “collegate direttamente ai servizi segreti russi”, ma è denuncia di una ‘squadra avversaria in campo’.
Prima sanzioni Usa a firma Joe Biden colpendo aziende e individui coinvolti, rapporti di Washington, nell’avvelenamento dell’oppositore Alexei Navalny. Ma forse per caso e forse no, nella mossa Usa coinvolti anche istituti e figure chiave per la ricerca al vaccino Sputnik V in una fase in cui questo arriva a pochi passi dal via libera alla diffusione in Europa, oltre che essere già adottato in mezzo mondo.
«Le sanzioni – osserva Andrea Muratore su Insideover – , compaiono nel sito ufficiale del Dipartimento di Stato, separate da quelle mirate sul caso Navalny, come a mandare un esplicito messaggio politico»: anche lo Sputnik V è nel mirino di Washington.
Le sezioni di Sergiev Posad, Kirov e Yekaterinburg del 48esimo Centro di ricerca del ministero della Difesa russo, fondato nel 1937 ai tempi di Stalin per gestire la produzione di armi non convenzionali e il 33esimo centro di ricerca (sanzionato dal Dipartimento del Tesoro) hanno contribuito attivamente alla ricerca su Sputnik utilizzando gli apparati tecnologici e scientifici della Difesa nazionale.
‘Countering America’s Adversaries Through Sanctions Act’, Caatsa il nome dell’atto amministrativo Usa per colpire i cattivi. Tre diversi dipartimenti del governo federale a decidere le nuove sanzioni, ma tutte colpiscono il ministero della Difesa, cuore pulsante della ricerca scientifica nazionale. Colpito dalle sanzioni del Dipartimento di Stato anche il 48esimo centro di ricerca che ha lavorato insieme all’Istituto di ricerca Gamaleya allo sviluppo del vaccino anti-Covid Sputnik V annunciato la scorsa estate dal Cremlino.
«Il nome del 48esimo centro sotto il torchio delle sanzioni Usa non è nuovo all’Italia –ci segnala Formiche-. A quel dipartimento dal sapore sovietico facevano infatti riferimento i virologi che un anno fa, il 26 marzo, sono atterrati a Pratica di Mare con una brigata di 111 militari guidata dal generale Sergei Kikot per poi dirigersi nella zona rossa di Bergamo». L’allora discussa missione umanitaria di cui facevano parte virologi-militari ‘con una certa consuetudine’ con il 48esimo centro della Difesa.
Tra i puniti Usa sulla strada di Sputnik, anche tra case farmaceutiche tedesche (himconnect Gmbh, Pharmcontract Gmbh, Riol-Chemie) e una svizzera (Chimconnect AG).
«Le sanzioni Usa, in questo contesto, sembrano voler penalizzare in maniera mirata due istituti molto strategici per la politica di ricerca del Cremlino e, al contempo, mandare un messaggio a alleati e partner», denuncia Andrea Muratore. L’accesso a Sputnik è ritenuta da Washington una questione politica. «Tutto ciò nonostante la difficile situazione vaccinale dell’Europa, le ripetute conferme in campo medico-scientifico della bontà del vaccino, le scelte di diversi Paesi (compreso San Marino, nel cuore del Vecchio Continente) di rifornirsi con lo Sputnik, la diffusione globale che l’antidoto di Mosca sta avendo».
Un atto politico problematico. Per ora il richiamo esplicito a Sputnik non compare nel testo delle sanzioni Usa. «Ma se in futuro, quando il vaccino moscovita si diffonderà in Europa Washington dovesse usare il riferimento ai laboratori e ai militari coinvolti nelle sanzioni come arma politica contro Mosca, questo potrebbe creare un evitabilissimo cortocircuito nelle relazioni transatlantiche».
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