
Come altre potenze europee, anche l’Italia ebbe le sue colonie africane. Negli Ottanta dell’Ottocento fu stipulato un trattato per la concessione di un insediamento commerciale affacciato sul Mar Rosso e lentamente nacque la colonia eritrea. Dopo la battaglia di Adua (1896), fallito il tentativo di esercitare influenza sull’impero etiopico, non si parlò più colonie fino a quando Giolitti non autorizzò lo sbarco a Tripoli (1911) e nacque così anche la colonia libica. Nel 1936, dopo una guerra di aggressione all’ultimo stato africano rimasto indipendente (e per di più copto e quindi cristiano …), fu conquistata l’Etiopia e fu proclamato l’impero. Nel 1942 però, attaccate dagli inglesi nel corso della II Guerra mondiale, furono perse Somalia, Eritrea ed Etiopia in un colpo solo e nel 1943, sconfitti ancora dagli inglesi in Nord Africa, fu persa anche la Libia. Dall’apogeo imperiale del 1936 alla resa in Tunisia delle ultime forze italiane sconfitte, erano passati solo sette anni.
Dopo la II Guerra mondiale in Africa e in Asia cominciò la decolonizzazione: africani ed asiatici si scrollarono di dosso il giogo coloniale europeo, ma non sempre le cose filarono lisce. Fu il caso dell’Algeria che per ottenere l’indipendenza condusse contro la Francia una lotta durata anni che fu particolarmente cruenta. Relazioni normali tra Francia e Algeria subito dopo la guerra sarebbero state impossibili, ma l’Algeria aveva bisogno di sfruttare le proprie risorse petrolifere ed entrò in scena l’Eni di Enrico Mattei che – come è noto – intratteneva già rapporti con il fronte di liberazione da prima dell’indipendenza. «Per l’Italia – disse una volta Mattei – perdere le colonie è stata una fortuna: oggi possiamo trovare accordi con nuovi stati che non si rivolgerebbero mai a paesi colonialisti». Aveva ragione, ma probabilmente la sua disinvoltura gli fu fatale e morì in un misterioso incidente aereo. L’atteggiamento italiano, un po’ più corretto nei confronti dei paesi africani, però funzionò e in breve ci furono altri accordi di relativa soddisfazione per tutti non solo in Nord Africa.
L’Africa negli anni Sessanta avviò la costruzione di grandi infrastrutture, in particolare dighe per realizzare bacini idroelettrici o semplicemente regolare il corso dei fiumi e creare riserve d’acqua. L’opera più famosa oggi ricordata è la diga di Kariba, sul fiume Zambesi, tra Zambia e Zimbabwe, inaugurata nel 1959: ad oggi resta una delle più grandi al mondo con un bacino di oltre centottanta milioni di metri cubi d’acqua. Fu realizzata da un consorzio di imprese italiane, ma – negli stessi anni – altre imprese italiane, singolarmente o consorziate, erano presenti in Africa: in Sudan nel cantiere delle diga di Roseires sul Nilo Azzurro; nella repubblica del Ghana alla diga di Akosombo sul fiume Volta; in Camerun per il dragaggio del porto canale di Douala; in Congo per realizzare un tronco stradale tra Stanleyville (oggi Kisangani) e Bukavu; in Costa d’Avorio per costruire uffici pubblici ad Abidjan ed in Etiopia, dove il passato coloniale era stato perdonato e dimenticato, a costruire la diga di Koka che fornì energia elettrica alla capitale Addis Abeba e alla città di Dire Daua. Decine e decine di altre imprese furono impegnate in lavori minori e moltissimi imprenditori italiani concorsero allo sviluppo economico del continente: una grande storia fatta anche da piccoli soggetti.
Non sempre però la cooperazione internazionale fu un idillio di buoni sentimenti e qualche episodio non trasparente accadde lo stesso, soprattutto quando una legge italiana mise in previsione una spesa di quasi duemila miliardi nel 1973 e lo scontro tra il dittatore somalo Siad Barre e l’etiopico Menghistu si trasferì per procura nella politica italiana e viceversa. Solo nel 1987 fu varata una nuova legge, ma poi di cooperazione si parlò sempre meno. Poco si parla del resto anche di altre iniziative nel continente africano. Vero che l’intervento italiano militare in Mozambico, sotto la guida delle Nazioni Unite, si rivelò un successo (per altro oggi dimenticato), ma nel frattempo altri paesi dal passato coloniale un po’ più discutibile sono presenti in Africa dove il terrorismo inquieta i paesi occidentali. La Francia ad esempio è presente da tempo nell’Africa sub-sahariana, attualmente con un contingente italiano in Mali, nella missione Eutm, l’European Training Mission.