
Il licenziamento di Khachatryan, scrive su Ispi, l’istituto di studi internazionali, l’analista Eleonora Tafuro Ambrosetti, una polemica a sponda estera: il presunto mancato funzionamento dei missili Iskander di produzione russa durante la guerra persa contro l’Azerbaigian, smentita dal ministero della Difesa russo. L’opposizione armena scatenata contro il premier: «Le ultime azioni del primo ministro mirano a decapitare un esercito già gravemente provato (…)». E richiesta al presidente della Repubblica tutelare la forze armate nazionali.
Ma Pashinyan insiste, e ha ordinato anche la rimozione del capo di Stato Maggiore, Onnik Gasparyan. Il premier ha anche organizzato una marcia dei suoi sostenitori nel centro di Yerevan, e contromarcia della opposizione. svoltasi senza particolari disordini nonostante anche l’opposizione avesse organizzato una contromanifestazione. E via Facebook, Pashinyan ha dichiarato la «fine del velluto», nella rivoluzione che cambia maniere. Prima la rivoluzione pacifica poi le conferma nelle elezioni parlamentari 2018. Va detto che Pashinyan ha tentato riforme radicali per rilanciare l’economia armena e combattere la corruzione, una piaga che affligge il paese così come la maggior parte degli stati nella regione, guadagnandosi un ampio sostegno popolare.
«Pashinyan (che, contrariamente a molti suoi predecessori, non è originario del Nagorno-Karabakh) è stato accusato di eccessiva arrendevolezza nei confronti del principale nemico armeno, l’Azerbaigian guidato da Ilham Aliyev», sottolinea Ispi. «È stato proprio l’ultimo conflitto con l’Azerbaigian a causare un’erosione importante del consenso a Pashinyan. In seguito a una cocente sconfitta militare, il premier ha infatti accettato un cessate il fuoco mediato dalla Russia che ha posto fine a sei settimane di combattimenti in Nagorno-Karabakh. Gli appelli alle dimissioni di Pashinyan sono cresciuti esponenzialmente in seguito all’accordo, che molti armeni hanno bollato come un tradimento».
Secondo l’analista del Carnegie di Mosca Alexander Baunov, se l’esercito armeno estromettesse il primo ministro per mantenere l’ordine fino a nuove elezioni, si tratterebbe del primo vero colpo di stato militare nella regione. Finora, la tradizione sovietica in base alla quale l’esercito rimane fuori dalla politica è stata generalmente mantenuta anche dagli stati post-sovietici. «Intanto, il Cremlino ha espresso preoccupazione per la situazione in Armenia e ha esortato entrambe le parti a mantenere la calma e a ricondurre la situazione entro i confini dell’ordine costituzionale».
La Russia, che ha attualmente quasi 2000 soldati in Nagorno-Karabakh a garantire il cessate il fuoco, ha assunto una posizione di sostanziale imparzialità nella crisi, descrivendola come un affare interno alla repubblica armena. Diversa la posizione della Turchia, storico alleato dell’Azerbaigian. «Ankara, che ha ancora fresco il ricordo del tentato golpe contro il governo di Recep Tayyip Erdoğan del luglio 2016, ha fortemente criticato il tentativo di rovesciare il governo di Pashinyan ad opera dell’esercito armeno».
L’opinione pubblica armena spaccata. Secondo un recente sondaggio Pashinyan rimane il politico più popolare in Armenia ma quasi il 58% degli interpellati sostiene la necessità di elezioni anticipate e ben il 43,6% auspica le dimissioni del premier. Una folla infuriata si è riversata ieri mattina nel parlamento di Yerevan, in Armenia, saccheggiando e vandalizzando l’ufficio del primo ministro accusandolo di “tradimento”, racconta il Manifesto.
L’accordo in vigore stanotte prevede che l’Azerbaigian mantenga le aree conquistate negli scontri di queste settimane con peacekeepers russi a garantire la tregua nei combattimenti. L’accordo garantisce un corridoio che collega il Nagorno-Karabakh all’Armenia, e il ritiro scaglionato delle forze armene dai distretti azeri che circondano l’enclave. Armenia e Azerbaigian hanno concordato di scambiarsi i prigionieri e di restituire alla parte avversaria i corpi di coloro che sono morti nel conflitto.