
«Bugie inventate» e l’invitato all’Alto commissario Onu per i diritti umani Michelle Bachelet a visitare da subito la regione nord-occidentale dello nello Xinjiang. Perché la parole pesano e un conto è discutere e anche litigare sui diritti umani e sulla maggiori o minori libertà interne, ben altro la portata dell’accusa di genocidi
«La questione uigura nello Xinjiang è solo l’ultimo tassello di un rapporto sempre più complicato tra Pechino e Ottawa», segnala Ispi. Le relazioni tra i due paesi hanno cominciato a deteriorarsi con l’arresto su mandato statunitense di Meng Wanzhou, la donna ai vertici di Huawei nel dicembre 2018. Mossa politica statunitense, obbedienza canadese, e due suoi cittadini arrestati in Cina per risposta. Ora il ‘rilancio’ di Ottawa con la orrenda parole genocidio contro i musulmani uiguri e altre minoranze etniche nella regione dello Xinjiang occidentale, da parte della Cina. Dispetto per dispetto, questa volte offesa grave, in quella che Trudeau ha definito “diplomazia degli ostaggi”.
Finora il governo Trudeau, che governa senza una maggioranza parlamentare, aveva cercato di tenere un difficile equilibrio tra l’indipendenza della propria politica estera, le pressioni dell’alleato statunitense e la necessità di mantenere relazioni cordiali con Pechino. Ma con il voto in parlamento –moralismo esterno per battaglia politica dei casa- anche se non vincolante fa salire le tensioni tra i due paesi. Con quali rischi sui due fronti?
Pur essendo un alleato NATO con profondi legami storici con l’Europa, come gli Stati Uniti, il futuro del Canada è sempre più legato al continente asiatico. Già oggi il commercio del Canada con i paesi asiatici è maggiore del suo commercio complessivo con Europa, America Latina e Africa. Quasi il 18% dei canadesi afferma di avere origini asiatiche -il doppio rispetto agli Stati Uniti- e in città come Toronto e Vancouver, il mandarino e il cantonese sono più parlati del francese. Inoltre circa 300.000 canadesi vivono a Hong Kong – la seconda maggiore comunità di canadesi all’estero – dando al governo di Ottawa un interesse particolare per le tensioni di cui la città è epicentro da tempo e il futuro del modello ‘un paese, due sistemi’.
«Ma è difficile immaginare una strategia americana di successo per trattare con la Cina che non includa, nel ‘fronte occidentale’ voluto dal presidente Joe Biden, anche il Canada», rileva Ispi.
L’Europa osserva mentre prende i primi contatti con la nuova amministrazione americana. Dopo le sgarberie di Trump, sono quasi e abbracci, ma al momento siamo alla buona educazione. Nel primo incontro tra Antony Blinken e i ministri del Consiglio Affari Esteri dell’Unione si è parlato di nuove sanzioni contro la Russia e contro i generali del colpo di stato in Myanmar, si è discusso di Hong Kong, ma senza decidere nulla. L’Europa aspetta segnali concreti sulla ricucitura dell’accordo nucleare sull’Iran, ma per Ispi, «il vero banco di prova nel risanamento delle relazioni transatlantiche, dopo il turbolento interludio dell’era Trump, sarà la Cina e la volontà europea di mettere in discussione interessi economici di breve periodo».
Secondo gli ultimi dati Eurostat il volume degli scambi commerciali del Vecchio continente con la potenza asiatica ha superato quello con gli Stati Uniti. E pur condividendo molto delle preoccupazioni Usa sulle pratiche commerciali e tecnologiche scorrette di Pechino, alla fine dello scorso anno l’Ue ha raggiunto un accordo di investimento con la Cina, definita “concorrente strategico e un rivale sistemico”, per promuovere l’accesso al mercato asiatico. Cina troppo vicina e grossa, e quindi, meglio trovare un accordo. Un accordo che Borrell ha giustificato sostenendo che il commercio “è altra cosa rispetto alla repressione nello Xinjiang o a Hong Kong”. Molto opportunista e discretamente ipocrita, ma di necessità virtù.
Problema tra i problemi, capire quando le opposizioni saranno confronto tra autoritarismo e democrazia, partita nobile, o scontro di interessi col vestito della domenica.