Un’area particolarmente interessata e ricca di coltan è proprio la regione del Kivu dell’agguato mortale ai nostri due concittadini. Ma è da un ventennio che rapporti Onu denunciano come il commercio semilegale di coltan e di altre risorse naturali pregiate stiano alimentato la guerra civile fatta di vari conflitti regionali che tra il 1996 e il 2003, proprio nell’est del paese, provocò la morte di milioni di persone soprattutto di fame e malattie. Uno sfruttamento del sottosuolo di cui fanno le spese anche un elevato numero di bambini-minatori, spinti o costretti ad esempio ad estrarre in condizioni disumane il cobalto utilizzato dai più noti marchi tecnologici e automobilistici, come denunciato più volte da Amnesty International.
Il cobalto è uno degli elementi essenziali su cui noi occidentali ricchi puntiamo per la svolta green, il futuro a batteria. In Congo per estrarlo ci lavorano quasi 300mila minatori “artigianali”, lavoratori a cottimo tra cui circa 35mila sono bambini in condizioni di schiavitù, «prediletti per la loro agilità ed energia in cunicoli soffocanti, spesso trasformati in trappole mortali dagli allagamenti», denuncia Francesca Salvatore su InsideOver. Meno di un dollaro al giorno dai trader stranieri. E se più del 60% della fornitura mondiale di cobalto viene estratto in Congo, almeno il 20% di questa fornitura è estratta da gente del posto e a mano, il resto è prodotto da miniere industriali gestite da società straniere in seguito al crollo dell’azienda mineraria statale, Gécamines.
Anche il coltan si estrae a mani nude per più di dieci ore al giorno: un’attività sfiancante che lede polmoni e sistema linfatico dei più piccoli. «Una giornata di lavoro vale 1/2 $ a seconda dell’età del bambino per scendere fino a 0,50 $ nelle cave illegali: e si tratta di cifre lorde poiché questi “salari” includono anche le somme che i piccoli minatori sono costretti a versare alla banditaglia che sorveglia la miniera e che si macchia spesso di abusi sessuali nei loro confronti». Il coltan passa, poi, prima per le mani di soldati e mercenari, almeno fino al confine con il Ruanda e l’Uganda; in seguito, viene ceduto alle compagnie di import/export per poi passare alle maggiori compagnie che trattano la raffinazione in Germania, Cina e Stati Uniti: infine, giunge nelle catene di montaggio delle grandi multinazionali dell’elettronica.
Ed ecco il Congo bersaglio da ogni genere di dramma: emergenze sanitarie come l’Ebola, guerre intestine, banditismo e perfino la penetrazione dell’ISIS.