
«Nel solo cantone di Una–Sana ci sono 500 minori non accompagnati, insieme a circa 450 bambini con le loro famiglie. In tutto un migliaio di minorenni, più dei mille maschi adulti ammassati tre le tende del campo ufficiale di Lipa, in Bosnia».
«Qui non diamo fastidio e non ci danno fastidio» spiega l’imam migrante bengalese. Nel villaggio abusivo dei respinti, sotto al telone verde c’è pure la moschea. Qualche anno fa nessuno di loro sarebbe venuto a nascondersi nel bosco dei reietti. La gente di Nepeke, Bosnia musulmana, non aveva mai fatto mancare una scodella di zuppa né il latte caldo per i bambini. Ma ora i dannati della rotta balcanica non sono più i benvenuti neanche alla preghiera del venerdì, quando almeno si sentivano parte di una comunità.
Nella nuova moschea, una delle decine edificate di recente con fondi di sauditi e dal Kuwait, non tutti sono contenti di vedere arrivare gli stranieri che nessuno vuole.
«Che vadano nella Repubblica serba, dove hanno 149 caserme abbandonate, ne facciano centri di accoglienza», dice il sindaco di Bihac che dal capoluogo sul confine riapre le ferite sempre aperte della guerra anni ’90. Bosniacchi musulmani messi assieme con i croati cattolici dell’Erzegovina contro i serbi ortodossi, e la vecchia guerra ritorna sulla pelle dei disperati in fuga da guerre ancora più cruente.
«Ma hanno appreso che per quieto vivere è meglio trovare un modo per farsi accettare. Meglio se pagando. A Bosanska Bojna le poche decine di residenti non fanno la spia alle guardie di confine». Un paio di settimane fa quattro europarlamentari italiani erano stati bloccati dall’altra parte del confine, in Croazia. «Se i croati respingono le accuse per i respingimenti violenti (ormai stra documentati ndr), i bosniaci non commentano altri episodi inquietanti». Nei giorni scorsi, un video girato da alcuni migranti ricacciati indietro, mostrano degli incendi appiccati per costringere i respinti a cercare rifugio altrove.
«Per non venire scoperti un modo c’è. Il medico afghano (lfoto di copertina) che tiene sulle spalle il bambino di cinque anni sta per attraversare i campi innevati per raggiungere l’unica casa con le luci accese e il camino che fuma». Ci abita gente del posto. Hanno messo a disposizione il loro secondo bagno. «Ci chiedono tre euro per 10 minuti di doccia tiepida», si lamenta il dottore scappato dal distretto di Khan Abad, nella provincia settentrionale afghana di Kunduz. Ci porta i bambini, a turno. «I croati ci hanno respinto tre volte questa settimana, e i bosniaci se ne approfittano».
«Tra le campagne sottozero gli operatori di Save The Children vanno alla ricerca dei ‘bambini sperduti’». «Ci sono bambini che partono per la Croazia ma tornano negli accampamenti fradici di pupù. Da ambo i lati la polizia strappa e butta via i pannolini per essere certi che i genitori non nascondano cellulari, denaro o il numero di qualche passeur proprio nei Pampers donati dalle organizzazioni umanitarie».
«Sono sicura che nessuno di quei poliziotti ha figli, scandisce la mamma riponendo ancora qualche speranza nel prossimo tentativo. Altrimenti non spoglierebbero nel gelo i nostri bambini».
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