
Per il tedesco Joerg Meuthen dell’Afd, il partito ultra destro con effluvi nazi, il premier incaricato Draghi, è un « brutto scherzo». Peggio: «È il grande maestro in materia di debiti che viene per far spendere agli italiani i tanti miliardi” del Recovery Fund». Pochi minuti dopo il patriottico Zanni: «Se qualcuno all’estero critica il professor Draghi per aver difeso l’economia, il lavoro e la pace sociale europea, quindi anche italiana, e non solo gli interessi tedeschi, questa per noi non sarebbe un’accusa, ma un titolo di merito».
Peggio l’altro eurodeputato leghista Da Re: «I tedeschi sono un’anomalia e dovrebbero andare tra i non iscritti, con i Cinque Stelle».
Ed esplode la contraddizione di una Lega improvvisamente europeista che formalmente ancora nella famiglia degli euroscettici e in parte lo scardina. In molti ancora a ricordare Matteo Salvini a Milano nell’ultimo comizio prima delle elezioni europee, col camerata Joerg Meuthen a tuonare contro Angela Merkel e «la troika dei tecnocrati che hanno distrutto la nostra Europa».
Prossimo giro di giostra, qui siamo alle montagne russe più ardite, l’approdo al Partito popolare europeo, traguardo cui il vicesegretario e consigliere di Salvini Giorgetti lavora ormai da tempo.
Popolari a spintoni. Il Ppe, riferiscono fonti qualificate rilanciate da ‘le formiche’, vuole liberarsi al più presto dei parlamentari di Fidez, il partito ungherese di Viktor Orban, ormai troppo a destra e pure a rischio di perdere. Fuori Fidez e Orban, dentro Lega e Salvini (o chi verrà dopo di lui). A Berlino ancora ricordano certi epiteti alla cancelliera durante il dibattito per la Legge di bilancio in Parlamento da parte dei leghisti.
«Noi abbiamo bisogno di interlocutori nel centrodestra in Italia perché Forza Italia sta scomparendo. Nella Lega ci sono dirigenti pragmatici come Giancarlo Giorgetti. Ma con Salvini per ora è impossibile».
Klubradio, l’ultima radio libera dell’Ungheria, si spegne definitivamente dalla mezzanotte di domenica prossima, da quando non avrà più la licenza per andare in onda. La principale stazione radio indipendente ungherese, tanto critica quanto ascoltata, aveva già perso le sue frequenze in provincia, e negli ultimi anni poteva trasmettere solo a Budapest. La Corte di giustizia di Budapest ha respinto il ricorso dell’emittente contro la decisione dell’Autorità sui media (Nmhh) di toglierle l’autorizzazione a trasmettere. «Si tratta di una decisione vergognosa e codarda”, ha commentato il direttore Andras Arato.
La sua voce, l’unica critica nei confronti del governo di Viktor Orban nel panorama radiofonico, era già stata silenziata qualche mese fa, con motivi subito apparsi pretestuosi: non aveva notificato in tempo alle autorità governative quanta musica ungherese era stata messa in onda nei suoi programmi. Notifica che è obbligatoria per tutte le stazioni. Infrazione commessa anche da altri, che però non sono stati sanzionati perché del tutto allineati con l’esecutivo di Fidesz. Nel sistema politico dichiaratamente illiberale e sovranista di Viktor Orban, l’Autorità, per legge, regola l’uso delle frequenze e controlla i contenuti dei media.
Vergogna sull’indipendenza della giustizia in Ungheria di Orban, e ricorso alla Corte europea dei diritti umani di Strasburgo, e alla Corte europea di Lussemburgo. Nel Consiglio Ue, dal 2018, è in corso (molto poco di corsa) nei confronti dell’Ungheria una procedura per violazioni gravi dei valori dichiarati nel trattato sull’Ue, la procedura dell’articolo 7: fra le contestazioni che si muovono a Budapest c’è anche la soppressione della libertà di stampa. Finora, però, non vi sono stati risultati concreti, e chi si oppone a Orban nel paese è ormai molto scettico.