Chiedersi se tale strategia GWOT, la Global War On Terrorism abbia o meno avuto “successo” appare domanda mal posta ed a cui in ogni caso è ben difficile dare risposte nette e definitive. Nei vari Teatri di intervento (Iraq, Afghanistan, Siria, Somalia, Sahel) si sono senz’altro avuti alcuni esiti positivi, ma il Jihadismo appare ancora lontano dall’essere debellato: aumento di oltre il 100% del numero di attacchi e vittime nel decennio 2010-2019 rispetto al decennio 2001 – 2009.
Dal 2014, a fronte di un trend di attacchi in diminuzione, persistono elevati livelli medi di attacchi su scala mondiale (circa 200 al mese nel 2020) ed una notevole e preoccupante espansione del Jihadismo nel Sahel che sta diventando il “nuovo epicentro del Global Jihad”; proliferazione dei Wilayat (province autonome affiliate all’IS ex ISIS) dal Sahel al Mozambico alle Maldive alle Filippine; persistenza di elevato livello di minaccia dei Talebani in Afghanistan.
Infine i costi globali di tale GWOT, oltre ai drammatici costi umani, risultano aver raggiunto cifre difficili anche solo da immaginare: oltre 6 trilioni di $ (circa due volte il PIL italiano ed oltre 10 milioni di volte il costo stimato dell’attacco dell’ 11 settembre).
Altre opzioni di contrasto. Di estrema rilevanza l’opzione “Counter-ideology” basata sul principio molto semplice teso a demolire alle radici l’arma più potente di cui dispone il Jihadismo: l’enorme potere identitario e mobilitante dell’ideologia jihadista così come costruita negli ultimi decenni. La Counter-ideology dovrà quindi mirare non tanto ad evidenziare le negatività etiche ed umanitarie del Jihadismo (opzione già adottata nelle varie volenterose iniziative di contro-radicalizzazione attuate in Europa ma che hanno sortito modesti risultati), quanto ad evidenziare, con robusto approccio islamologico, che molti degli assunti e degli elementi adottati dall’ideologia jihadista non hanno riscontro nel vero pensiero islamico e spesso sono in netto contrasto con questo.
Tale opzione potrebbe quindi minare alla base la credibilità islamologica del Jihadismo privandolo quindi della sua principale ragion d’essere.
Naturalmente una tale strategia non può essere improvvisata e va espressa con una solido impianto di conoscenze islamistiche, al riguardo va ricordato che autorevoli consessi islamici hanno già da anni prodotto importanti documenti con forti critiche sistematiche all’ ideologia jihadista evidenziandone i contenuti estranei se non contrari al vero Islam.
Fra questi ricordiamo due in particolare: un documento del 2014 a firma di ben 126 ‘Ulama contro la dichiarazione del Califfato all’epoca appena proclamato dall’ ISIS; la Risalat (lettera) di Amman, sempre del 2014, firmata, su iniziativa di Re Abdullah di Giordania, da oltre 500 giureconsulti da tutto il Mondo Islamico.
Va poi ricordato che l’esigenza di sviluppare una Counter-ideology era stata inserita sin dal 2004 nel più importante Report mai prodotto sul Jihadismo : il “Final Report della Commissione USA sull’11 settembre”. In esso si legge testualmente:
L’Islam non è il nemico…il nostro nemico ha due profili: al-Qa’ida e il movimento ideologico radicale…Quindi la nostra strategia deve svilupparsi su due obiettivi: sconfiggere la rete di al-Qa’ida e prevalere nel lungo periodo sull’ideologia…
E veniva sin dal 2004 raccomandata una strategia che fosse “more than a war on terrorism”, raccomandazione raccolta purtroppo solo parzialmente.
Altre chiare indicazioni sull’importanza di una adeguata Counter-ideology contro il Jihadismo – terrorismo sono poi venute proprio da autorevoli fonti islamiche:
Sia dagli scritti di Haniff che da altre fonti è possibile individuare le principali linee di una possibile strategia di Counter-ideology: