Gli economisti salvatori della Patria molto prima di Draghi

Spesso profetici e inascoltati come speriamo non sia per Mario Draghi. Mettiamo Re Luigi XVI di Francia al posto del presidente Mattarella, ma solo per finta vista la fine che poi toccò a quello sfortunato Re, e troviamo Jaques Necker che prova ad evitare il dissesto e la ben nota rivoluzione. Sergej Jul’evič Vitte prova a salvare lo Zar dal bis francese, ma con la più moderna rivoluzione bolscevica, e a sua volta non ci riesce. Poi la quasi attualità di John Maynard Keynes che provò a spiegare agli Stati vincitori affamati della prima guerra mondiale, che a pretendere troppo da Prussia e Germania vinte, avrebbero ottenuto solo la Seconda guerra mondiale.

Jaques Necker

Svizzero di origine tedesca e banchiere di successo, Jacques Necker all’età di quarantaquattro anni fu nominato da Luigi XVI direttore generale del tesoro reale nel 1776. Il nuovo incarico era a dir poco arduo, perché si trattava di rimettere ordine nelle dissestate finanze francesi: oltre all’inefficienza organizzativa, la maggior parte del deficit era dovuta alla guerra combattuta con la Gran Bretagna in Nord America, senza contare le spese fuori controllo della corte di Versailles. Non si era trattato di una guerra come le altre, ma di una complessa impresa militare sia terrestre che marittima che aveva prodotto un salasso senza precedenti in tutta la storia di Francia. Di buona lena Necker si era messo subito al lavoro soprattutto per semplificare la macchina finanziaria statale, ma – poiché numerosi posti inutili e fonti di spreco erano stati aboliti – si era anche attirato il risentimento di molti aristocratici notabili. Le idee di riforma erano del resto molto semplici, ma, proprio per questo, non facili da accettare: anziché istituire nuove tasse, Necker  propose la riduzione delle spese (in primis della corte), una revisione delle pensioni e delle rendite concesse dallo stato e la negoziazione di un nuovo prestito per le spese della guerra. Nel 1781, dopo che fu reso pubblico un suo memorandum a Luigi XVI in cui chiedeva anche ‘trasparenza’ sulle spese, si dimise tornando in Svizzera. Dopo il fallimento del suo successore (e principale accusatore), fu richiamato dal re nel 1788, ma la situazione era ormai insostenibile. Licenziato nuovamente dal re l’11 luglio 1789 (esattamente tre giorni prima della presa della Bastiglia) lasciò nuovamente la Francia per farvi ritorno un mese dopo sempre chiamato dal sovrano, ma ormai la rivoluzione francese aveva iniziato il suo cammino.

Sergej Jul’evic Vitte

Nato nel 1849 da una famiglia di origine tedesca, Sergej Jul’evič Vitte si era laureato in matematica pura all’università di Odessa, ma, appena conseguita la laurea, aveva iniziato a lavorare nelle ferrovie: la costruzione di nuove linee di comunicazione e di trasporto era del resto la principale impresa industriale in continua espansione sullo sterminato territorio russo e ben presto Vitte, dando prova di grandi capacità nel settore, ne raggiunse i vertici. Diventato ministro delle ferrovie e poi delle finanze avviò riforme radicali anche in campo fiscale e finanziario. Il suo modello era la Germania, con la quale strinse vari accordi commerciali e monetari. Il rublo era probabilmente la moneta meno desiderata al mondo – che all’epoca era dominato dalla sterlina inglese e dalla Banca d’Inghilterra –, ma riuscì a trasformarla in una valuta stabile e soprattutto utilizzabile per gli scambi  internazionali.  Pose fine inoltre alla politica protezionista nei confronti della Germania: abolì i dazi doganali ed ottenne che anche il mercato tedesco di conseguenza si aprisse ai prodotti russi. Oggetto di invidie – per non dire aperta ostilità – da parte degli elementi più conservatori della corte e della società russa, fu costretto alle dimissioni dal ministero delle finanze nel 1903: Witte infatti si era opposto alla guerra con il Giappone, che fu devastante per l’impero russo, ma in realtà intendeva anche protestare per il fallimento di una commissione destinata ad attuare più ampie riforme. Richiamato al potere dallo zar Nicola fu primo ministro per poco più di sei mesi dal novembre 1905 al maggio 1906: nonostante avesse convinto lo zar a convocare le prime elezioni libere della storia russa, fu allontanato per cedere il posto ad un ultra conservatore assai meno capace. Al momento dello scoppio della Prima Guerra mondiale si oppose alla partecipazione russa intuendo forse il crollo dell’impero e la rivoluzione imminente.   

John Maynard Keynes

Nato nel 1883 e morto nel 1946, l’economista inglese è tuttora ricordato come il più influente pensatore economico del XX secolo. Di fronte alla visione classica dell’economia che si regola da sola attraverso il mercato e le leggi della domanda e dell’offerta, Keynes sostenne invece il ruolo fondamentale dello stato per effettuare interventi pubblici finalizzati alla piena occupazione in un sistema di economia mista. Prima della teorizzazione di questi principi che sono citati frequentemente ancora oggi, Keynes nel 1919, nel corso delle trattative per la firma del trattato di Versailles, nella sua veste di consulente economico del ministero del tesoro britannico, aveva sostenuto la necessità di non appesantire eccessivamente la Germania sconfitta con gravose imposizioni di pagamento dei danni di guerra, ma di lasciare che prima ci fossero sviluppo e ricostruzione. L’instabilità economica tedesca – pensava – si sarebbe ripercossa sulla sua politica interna e di conseguenza sulla stabilità europea. Sarebbe tuttavia sbagliato immaginare che Keynes agisse come un benefattore, perché la Germania – dovendo richiedere presti all’estero per la ricostruzione – sarebbe stata comunque condizionata nelle sue scelte dalle potenze vincitrici. La ragionevolezza di Keynes non fu ascoltata dai vincitori, soprattutto dalla Francia che invece esigeva in moneta sonante il pagamento dei danni di guerra per ricostruire la propria dissestata economia. La repubblica di Weimar fu allora un continuo susseguirsi di crisi economiche e politiche: dai tentativi di colpi di stato degli anni Venti si passò alla grande inflazione del 1923 e alla depressione degli anni Trenta provocata dalla crisi di Wall Street nel 1929: una situazione di continua instabilità politica ed economica in cui si sviluppò con relativa facilità il germe del nazismo che avrebbe portato alla carneficina della Seconda Guerra mondiale.

Tags: economisti
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