
Nei giorni scorsi ho visto alberi su alberi sradicati, tagliati, accatastati lungo una strada. Davano fastidio, la risposta a una mia legittima domanda. E ho visto lo sfacelo dei nostri boschi distrutti per il loro bene, abbattuti per evitare incendi. Cioè rasi al suolo per evitare che un incendio possa raderli al suolo, dicono i paraculi. Nel disinteresse. Come se un albero potesse essere segato a piacimento, per comodità, per disinteresse nei confronti dell’interesse feroce di chi ha messo su l’industria del disboscamento con tanto di certificazioni politiche.
E penso che simbolicamente lo sradicamento non riguarda solo l’albero che dà fastidio. Riguarda tutti noi, riguarda la comunità che confusa dalle mille voci del progresso e del valore simbolico del potere, del denaro e del profitto, cede inconsapevolmente il proprio bene primario, i propri diritti umani di futuro al nemico sconosciuto che opera culturalmente come una pialla: azzerando differenze, rendendo scenografico e conforme a chissà quale dettato il territorio e l’umanità che lo abita.
Nell’albero sradicato vedo il conformismo dell’epoca scintillante e vuota. Così come nella bruttezza del fumatore che getta la cicca per strada, nell’ottusità del proprietario del cane che non raccoglie le cacche dalle strade del suo paese e che forse, un giorno, ne calpesterà una. Nella maleducazione di chi non saluta, del disinteresse nei confronti della propria terra sempre più sconosciuta, sempre più cartolina in vendita, luogo di baloccamento da ricchi furboni.
Parlo dell’abitare in un territorio, facendo parte della comunità. Oppure, per meglio chiarire la premessa, parlo dello sradicamento dalla comunità di valori, dell’abitare casualmente e mediaticamente al posto dell’abitare civile che – anche in queste fasi buie e truci – potrebbe esserci d’aiuto per meglio guardare al futuro con la consapevolezza di ciò che è il patrimonio di una comunità. E su ciò che invece lo sradica come bene comune rendendolo fruibile per pochi come bene privato.