
«Nel 1986 venne annunciato il Doi Moi, il programma di riforme e aperture alla base alla base del balzo economico del Vietnam. Nel 1991 furono normalizzate le relazioni diplomatiche con la Cina, interrotte dopo il conflitto di frontiera del 1979. Nel 2006 si promosse la liberalizzazione del commercio e un’ulteriore apertura agli investimenti diretti stranieri, ultimo step necessario all’ingresso nell’Organizzazione mondiale del commercio». Insomma, il Congresso del partito comunista del Vietnam, scrive su EastWest Lorenzo Lamperti, si discute realmente e non si applaudono scelte già fatte.
Scopriamo che il congresso si riunisce ogni cinque anni e imprime spesso una svolta cruciale alla traiettoria politica, economica e diplomatica del Vietnam. «Anche stavolta, 13a edizione, non farà eccezione», promette Lamperti. 1600 delegati arrivati nella capitale Hanoi e otto giorni di incontri a porte chiuse per prendere una serie di decisioni fondamentali. Il tentativo è quello di continuare su un percorso di crescita economico e geopolitico, culminato in un 2020 pieno di soddisfazioni, a partire proprio dalla maledizione pandemia, gestita in Vietnam meglio che in tutto il resto del mondo, con 1600 contagi e 35 morti veri.
Vietnam presidente di turno dell’ Asean, ha portato alla firma della Regional Comprehensive Economic Partnership. E l’economia, pour litigando col gigante di Pechini sulla isole del mar cinese di nome , corre. L’economia vietnamita, che entro il 2035 -previsioni serie- dovrebbe diventare la 19esima al mondo, anche se dipende ancora «in maniera eccessiva», temono, dalle esportazioni, trainate da compagnie straniere come Samsung o Hyundai. Il surplus commerciale verso gli Stati Uniti, per esempio (Trump non se n’era accorto), è cresciuto di 16 miliardi di dollari in un anno, 63 del 2020. Ora serve rafforzare le imprese di casa e stimolare i consumi interni.
«Al congresso saranno nominati i 19 membri del nuovo Politburo e soprattutto le quattro cariche cruciali del sistema vietnamita: segretario generale del partito, Presidente della Repubblica, Primo Ministro e Presidente dell’Assemblea nazionale (il corpo legislativo unicamerale). Sono le figure su cui si basa il cosiddetto principio dei “quattro pilastri”. Saranno inoltre eletti i 180 nuovi membri del Comitato centrale, il vero organo decisionale del partito. È in quella sede che si consumano trame e battaglie di potere che stabiliscono gli equilibri resi espliciti durante il congresso, dove però non sono rari i colpi di scena».
Affidandoci totalmente al serio EastWest, abbiamo anche le indiscrezioni tipiche occidentali. «Nguyễn Phú Trọng dovrebbe conservare la carica di segretario del partito». Sorpresa: 76 anni e precarie condizioni di salute che sarebbero precarie. Non solo. «Secondo lo statuto del partito non si può ricoprire quel ruolo per più di due mandati consecutivi. Cosa che Trọng ha già fatto, essendo stato eletto per la prima volta nel 2011 e per la seconda nel 2016. Se l’indiscrezione fosse confermata, Trọng diventerebbe il leader più longevo dai tempi di Lê Duẩn, il successore di Ho Chi Minh. Servirebbe la rimozione del limite dei due mandati, un po’ come accaduto nel 2018 in Cina per Xi Jinping».
Era Trọng, accentramento di poteri. Nel 2011, la direzione del comitato centrale anticorruzione che passa dal Primo Ministro al segretario. Strumento Trọng ha usato a punire non solo i corrotti. Nel 2018 Trọng è stato nominato anche Presidente dopo la morte improvvisa di Tran Dai Quang. E uno dei quattro diventa due su tre. «La conferma di Trọng potrebbe significare che le diverse correnti del partito non sono riuscite a mettersi d’accordo sul nome del successore, visto che tra i favoriti della vigilia nessuno conquisterebbe posizioni di vertice». Per i dettegli di nomi a ruolo sconosciuti, leggersi direttamente EatWest.
Durante il Congresso verrà dato anche il via libera al prossimo piano quinquennale. Qui roba seria visto che secondo la Banca mondiale, tra il 2002 e il 2018 oltre 45 milioni di vietnamiti sono usciti da una condizione di povertà assoluta e il Pil pro capite è aumentato di 2,7 volte. «Nel 2020, il Vietnam è stato uno dei pochi Paesi al mondo a crescere. Nonostante la pandemia, il Pil è aumentato di quasi il 3%, comunque la percentuale più bassa degli ultimi decenni», ci ricorda Lorenzo Lamperti. Nel 2021 Hanoi dovrebbe tornare a correre tra il 6,5 e l’8%. Investimenti esteri attratti dal successo della gestione sanitaria, costo del lavoro, e nessuna guerra commerciale con gli Stati Uniti, dopo qualche contestazione su presunte manipolazioni valutarie.
«Il rapporto più complicato di Hanoi è, da sempre, quello con la Cina. Alle storiche dispute territoriali nel Mar cinese meridionale si è aggiunta la questione della valle del Mekong, il maggiore fiume dell’Indocina lungo il quale Pechino sta costruendo dighe e centrali idroelettriche». Problemi anche per i due vicini Cambogia e Laos. La Cina ora anche superpotenza navale, fa paura. «Il Vietnam, d’altronde, è il Paese più deciso tra quelli Asean a far fronte alle pretese di Pechino sul Mar cinese meridionale. Negli ultimi anni, Hanoi ha incrementato la cooperazione commerciale e militare con le potenze medie asiatiche, in primis Giappone, Corea del Sud e India».
Sin dalla normalizzazione dei rapporti bilaterali, avvenuta nel 2015, presidenza Obama, gli Stati Uniti puntano sul ruolo di Hanoi nella loro strategia di contenimento della Cina, col Vietnam impegnato da sempre a mantenere un difficile equilibrio con l’ingombrante e ricco vicino, principale fornitore di materiali per l’industria manifatturiera. Protagonista diplomatico dall’inaugurazione del centro di peacekeeping delle Nazioni Unite di Hanoi nel 2014 e dall’accordo di libero scambio con l’Unione europea in vigore dallo scorso agosto, e ora col Regno Unito post Brexit.
Problema ‘diritti umani’, anche lì: dal Congresso può arrivare una possibile replica alle accuse del Parlamento Ue sui diritti umani, avanzate per l’arresto di alcuni giornalisti critici del Governo.