Quando appare la bellezza e quando appare la finzione
Quando appare la bellezza e quando appare la finzione

Le montagne non sono fatte per i cittadini ignoranti. Questa frase mi è rimasta impressa nella memoria per decenni. A pronunciarla fu un anziano montanaro, un gran camminatore e poeta della natura e della vita; con lui andavamo alla scoperta di luoghi magici e selvaggi in Abruzzo. Camminando avevamo appena incontrato una famigliola che con la macchina tentava di infilarsi in un pratone, dopo aver lasciato una mulattiera sconnessa che già sarebbe stato meglio non percorrere con le quattro ruote. 

Ci leggevo, tra le righe, anche una piccola critica per noi ragazzi di pianura. Di pianura, ma di campagna, mi rispondevo da solo. La differenza è sostanziale. 

Nel corso degli anni ho capito meglio l’avversione del mio antico amico. I cittadini ignoranti arrivano in luoghi isolati, dove regna il silenzio e si vedono le stelle, e lo fanno portandosi dietro i loro diritti assoluti, dettati dalla mancanza di conoscenze, le loro comodità irrinunciabili. Non vogliono vivere l’esperienza reale, ma una rappresentazione falsificata della realtà. S’impegnano per consumarla come cultura pretende.

Noi eravamo in tre, dormimmo col sacco a pelo in un posto riparato. Era freddo. Il cielo era scintillante e sembrava sfiorasse la cima degli alberi. Mi ricordo che avevo paura. Così deve essere disse il mio amico, bisogna aver rispetto per le cose che non conosciamo e che probabilmente non riusciremo mai a conoscere. Erano gli anni Settanta.

Poi è arrivata l’epoca dei selfie, delle gite organizzate per il racconto su Instagram, del bellissimo, magnifico, wow, con le labbruzze a cuore e, di tanto in tanto, la postura a tre quarti per meglio evidenziare il panorama. Il mio amico non c’è più da tanto tempo. Avrei voluto commentare con lui questa deriva, questa trasformazione dei cittadini in consumatori di massa di luoghi incontaminati. E lui avrebbe aggiunto: ignoranti. Quella è la differenza: ignorare senza porsi il problema, non capire che esiste un mondo oltre la propria ombra minuscola. Svendere la propria esistenza in cambio di un piatto di lenticchie. Probabilmente non avrebbe neanche più fatto la discriminazione tra cittadini e no. La massificazione culturale e l’uso inconsapevole e acritico delle conoscenze hanno cancellato differenze e annullati saperi antichi, appiattendo ogni cosa una visione da pianura, rendendo tutti più arroganti e sostanzialmente privi di quel sentire che occorre per rapportarsi con la realtà, fuori dal virtuale.

Poi per caso vedo lo spot di The North Facex Gucci e mi scappa da ridere (per non piangere). L’esaltazione della natura, dello stile di vita dell’uomo non più isolato dalla natura, con lo slogan di un pezzo grosso del marchio: noi siamo la natura. Poffarbacco. Si vede un gruppo di improbabili, con calzoncini e mocassini, con le scarpine col tacco e abiti coloratissimi, che scalano montagne e accendono fuochi. Leggiadri, non potrebbero fare cento metri su un sentiero di pianura figuriamoci in montagna, ma rivendicano l’occupazione simbolica dello spazio selvaggio. Perché non lo sia più. 

Penso che ognuno abbia diritto di raccontare sciocchezze come meglio crede e che la forza della narrazione contemporanea sia proprio questa: far credere agli ignoranti che esiste un bene superiore divino e invisibile, quasi un loro virtuale riscatto civile, dietro le operazioni di marketing utili a dare alle aziende una pitturata di verde. Così per i vestitini e le scarpine da montagna cittadina di Gucci, come negli spot super ambientalisti di aria pura e libertà per promuovere centrali nucleari dotate di parchi, ciclovie stupende sui dossi degli inceneritori, abbattimento di foreste per far vivere meglio gli alberi una volta trasformati in pellet. 

Viene quasi da rimpiangere i tempi semplici delle 1100 che s’infilavano nei boschi, dei cittadini ignoranti in gita domenicale, del mio amico silenzioso che amava la montagna, i suoi sentieri e i suoi pericoli, e li insultava amabilmente. Quando le cose erano più chiare: c’erano i furbetti del cemento e dello sviluppo, e c’era chi si opponeva alla devastazione del territorio. Ed era semplice e chiaro scegliersi una parte: con gli Attila devastatori (col codazzo di politici, clientelismo e imprenditori) o con i difensori del bene comune, del verde, dei boschi, degli orizzonti e del futuro. Oggi gli Attila vestono elegantemente, ma si dichiarano ambientalisti fino al midollo. E noi li vediamo raderci al suolo i territori, le tradizioni che li sostengono, la cultura che è patrimonio della comunità. 

Risuonano queste parole, magnifiche e dolci, fiammeggianti dei Csi.

Appare la bellezza mai assillante né oziosa
Languida quando è ora e forte e lieve e austera
L’aria serena e di sostanza sferzante

Tags: natura
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