Incubo di scontri sulla Manica, e tutti a festeggiare l’accordo di divorzio Uk-Ue. Sicuri degli applausi?
Incubo scontri sulla Manica e dopo tutti a festeggiare il divorzio educato Uk-Ue. Sicuri degli applausi?

Accordo di divorzio in cui ambedue gli ex coniugi festeggiano le loro richieste vincenti, il successo ottenuto, e ciò già dovrebbe suscitare qualche sospetto. Il perennemente scomposto Boris e la statuina sempre composta di Ursula celebrano ma di fatto non spiegano (e forse neppure loro sanno) cosa concretamente dovremo aspettarci con la Gran Bretagna fuori dall’Unione e affamata concorrente. I dubbi di Piero Orteca

Anche giudizi impietosi

«Un accordo raffazzonato. Peggio: una serie di pie intenzioni che, a scarica barile, cercano di rimandare la resa dei conti tra l’Europa e il Regno Unito».

Se tre anni di negoziati avvelenati, ma intensissimi, sulla ormai mitica o famigerata (a seconda dei punti di vista) Brexit hanno portato a tanto, un motivo ci deve pure essere. La verità è che quando il referendum inglese, sorprendendo tutti, decretò per una manciata di punti l’uscita dall’Unione, il fatto stupì e non poco sia Londra che Bruxelles. Nessuno si aspettava un epilogo del genere. Da allora molta acqua è passata sotto i ponti del Tamigi, e molto tempo si è perso cercando di recuperare il bandolo della matassa. Operazione difficile, per non dire impossibile, per il semplice fatto che gli interessi tra Inghilterra e l’Europa erano (e sono) abbastanza divergenti.

Pacco regalo contenuto incerto

Dicevamo che ora c’è un accordo che però ai più sembra abbastanza “scordato”. Firmato a calci nel sedere sotto la frenesia delle scadenze che prospettavano un ben più traumatico “ no deal”, il pacchetto confezionato sotto l’albero di Natale dal premier Boris Johnson e dalla presidente Ursula von der Leyen sembra un po’ come quelle scatole magiche che, quando le apri, ti esce a tappo il pupo sorridente. Insomma, una via di mezzo tra un divertissement e una mossa disperata per cercare di ridere, evitando di piangere. Certo, non occorre essere esperti di diritto internazionale per capire che se uno scrive un mattone di 1200 pagine per regolare l’uscita di uno stato da un’unione sovranazionale, allora gatta ci cova. Significa che hanno dedicato almeno dieci pagine anche ad analizzare le scatolette di cibo per il gatto.
E siccome le disgrazie non vengono mai da sole, alla squagliata della neve nelle brughiere inglesi sferzate dagli impietosi venti che arrivano dal Mare del Nord, si vedranno sicuramente i buchi, anzi, già si cominciano ad intravedere.

La Scozia di ritorno

Che la Brexit porti sfortuna all’ex Impero Britannico, non ci piove. Ma che la scalogna se la vadano a cercare con il lanternino gli stessi inglesi, beh questo ci sembra paradossale. Intanto, bisogna osservare che il Paese è spaccato a metà. O forse anche di più. Ieri la premier scozzese Nicola Sturgeon ha lanciato un missile a testata termonucleare su Westminster, affermando che l’orgogliosissima Scozia non ne vuole proprio sapere di lasciare l’Europa. E questa non è una novità, non nel senso che i clan dei Mac Gregor o dei Mc Farland siano stati unionisti da sempre. No. Sono invece stati ferocemente antinglesi da un millennio e anche più. Dalle Highlands della brumosa Scozia sono partiti, nel corso della storia, sempre terribili grida di guerra per l’indipendenza.
Dai Pitti e dai Caledoni al tempo della dominazione romana, passando per l’ eroismo di Braveheart e continuando con la coraggiosa regalità di Maria Stuarda, la terra di Scozia ha sempre avuto nel cuore il fuoco della rivolta. Figuratevi se anche in questo caso per una Brexit voluta da quattro bottegai, non si sarebbe messa di traverso contro gli odiati inglesi.
E che dire della situazione in Irlanda del Nord? Dove un caos completo e accordi scritti che sono fatti più di eccezioni che di regole fanno presagire possibili futuri disastri? Tutto questo, mentre per ora il Galles tace.
Insomma, se qualcuno cercava una mazza da carpentiere per spaccare in mille pezzi l’ex Impero Britannico, con la Brexit l’ha trovata.

La City rimasta senza impero

Dal punto di vista economico e finanziario è un autogoal clamoroso. Pensate, il Regno Unito importava dall’Europa il 13% dei suoi prodotti, mentre il suo export era di oltre il 50%. Adesso tra dazi doganali, tariffe di straforo, impicci burocratici e cavilli amministrativi, il libero commercio sarà solo uno sbiadito ricordo. E chi pensava di accodarsi alla filosofia protezionistica e tronfia di dazi doganali di Donald Trump è stato servito di barba e capelli. Per la serie, la ruota del trattore gira anche a marcia indietro e tu rischi di finirci sotto.
Altre valutazioni che dovranno essere limate e definite vanno fatte per la politica di Difesa, per la politica Estera e, più in generale, per le strategie da adottare sullo scacchiere internazionale. E’ chiaro che, al di là di tutte le dichiarazioni di facciata, da questo momento in poi il Regno Unito cammina per conto suo e dovrà sbrigarsela da solo, come una Turchia qualsiasi.

Piccoli tra le Grandi potenze

Sì, lo sappiamo, stiamo parlando di una grande potenza che è anche nucleare, ma che di fronte alla complessità del pianeta va necessariamente ridimensionata. Se il mondo è un boccone troppo grosso anche per gli Stati Uniti che non riescono proprio a controllarlo e che anzi devono condividere le scelte con Cina e Russia, quanto più arduo sarà per un Paese come il Regno Unito, fare sentire la sua voce? Oggi, domina l’economia di scala. Grande non è solo bello è anche utile, perché ti dà un potere contrattuale che da solo non potresti mai avere. Provare per credere, my dear friends, please.

Tags: Brexit
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