
Jacopo Pilarino (1659-1718) era nato a Cefalonia, isola greca al tempo sotto il dominio veneziano e si era laureato in legge all’università di Padova. Attratto da una più forte passione per la medicina divenne egli stesso medico e tra il 1680 e il 1715 ebbe esperienze nell’sola di Candia come medico personale del governatore ottomano; in Valacchia (grossomodo l’attuale Romania) presso il principe Cantacuzeno; in Russia come medico di Pietro il Grande; a Venezia al servizio di Francesco Morosini e nuovamente nell’impero ottomano a Smirne e Costantinopoli, dove – per il grande prestigio che gli era derivato dalla pratica clinica – ricoprì anche il ruolo di diplomatico veneziano. Nel 1715, dopo che sullo stesso argomento il suo allievo Emanuele Timoni aveva presentato uno studio, Pilarino scrisse un’importante relazione alla Royal Society di Londra sulla pratica diffusa nell’impero ottomano di inoculare piccole parti infette da bovini su esseri umani per ottenere l’immunità dal vaiolo (la cosiddetta variolizzazione). Sembra che la pratica – molto empirica e non ancora scientifica in senso moderno – fosse già in uso in India dall’XI secolo e anche in Cina, ma si trattò di uno dei primi studi moderni, prima del medico inglese Jenner che sostenne la validità di quello sarebbe diventato in seguito il vaccino contro il vaiolo ottant’anni dopo.
Quando Jenner propose la sua soluzione per sconfiggere il vaiolo non raccolse reazioni sempre benevole o approvazioni entusiaste e, d’altra parte, è noto che una prima ‘sperimentazione’ del vaccino condotta in un ospedale di Londra, a causa di un errore umano che aveva contaminato le sostanze, fu fallimentare, nel senso che provocò in alcuni soggetti la malattia con esiti mortali. La prima reazione popolare alla scoperta fu di incredulità e si diffuse perfino la voce che l’inoculazione di parti provenienti da bovini esponesse al rischio di trasformarsi ‘in’ bovini. La realtà era invece che il vaiolo in quel periodo continuava a mietere un alto numero vittime e risultava la causa di morte principale almeno nel venti per cento dei casi in Europa e del quaranta in Asia e nelle Americhe, dove le condizioni igieniche erano peggiori. Allo scetticismo si aggiunse ben presto un forte contrarietà anche per motivi religiosi: furono tirate in ballo la predestinazione, l’ordine del creato e la volontà divina: i sostenitori del vaccino, accusati di essere empi e miscredenti, furono tacciati perfino di simpatie rivoluzionarie e giacobine. Nel 1796, quando Jenner praticò la prima vaccinazione, il Terrore (la fase più cruenta della Rivoluzione francese) era finito, ma spiegarlo alla stragrande maggioranza degli scettici o dei contrari non era impresa facile.
La prima vera e propria reazione contraria alla vaccinazione anti-vaiolosa in particolare e in generale alle altre (attraverso l’elaborazione articolata di alcuni temi che riemergono ancora oggi), si manifestò tuttavia mezzo secolo dopo in Inghilterra, dove la vaccinazione dei bambini era stata resa obbligatoria nel 1853, l’anno cioè della guerra di Crimea. Sorsero tuttavia numerose associazioni che – sostenendo oltre ai motivi religiosi, il principio della libertà personale dei cittadini – ottennero una prima cancellazione dell’obbligo, ma dopo poco tempo le malattie infettive tornarono a rappresentare una diffusa causa di morte, soprattutto per il fatto che Inghilterra e Francia dominavano imperi coloniali sparsi in tutti i continenti ed erano per questo più esposte ai contatti e quindi ai contagi. Intorno alla metà del secolo XIX, soprattutto in Inghilterra e Germania il numero dei contrari aumentò ancora e fu costituita un’associazione internazionale denominata «Societas Universa contra Vaccinum Virus». Con il trascorrere del tempo però le pratiche vaccinali si diffusero sempre di più e le correnti d’opinione contrarie – almeno fino ai nostri giorni – rimasero relegate alle stravaganze curiose piuttosto che al pensiero razionale.