Bosnia, l’inferno di ghiaccio per chi scappava dall’inferno di guerra
Bosnia, inferno di ghiaccio per chi scappava dall’inferno di guerra

Migliaia di profughi abbandonati al gelo e sotto la neve lungo la cosiddetta della «rotta balcanica», senza ripari, cibo, acqua. Vorrebbero raggiungere l’Europa ma le frontiere a nord della Bosnia sono sigillate con ferocia. L’allarme dell’agenzia Onu: «È una catastrofe umanitaria».

Il gelo di Bosnia che può essere gelo assoluto

Gelo assoluto, nel senso di gelo senza speranza di sollievo, riparo, attenuazione. Come il gelo dei tre dannati inverni dentro la Sarajevo assediata, senza nulla con cui riscaldarsi, come ricorda indelebilmente qualcuno di noi. Ma il mondo sembra immemore, e i drammi si ripetono mutando di poco i racconti, con nuovi narratori a rivivere vecchi drammi che lasciamo ripersi.

Orrore

«Orrore. Non c’è altro termine per descrivere quanto sta accadendo in quel che resta del campo profughi di Lipa». Vanja Stokic, caporedattrice del portale di informazione di Banja Luka, ‘Etrafika’, nella Bosnia serba, raccontata sul Manifesto da Alessandra Briganti. Vanja al terzo viaggio nella tendopoli andata a fuoco mercoledì scorso. Il campo che dallo scorso aprile, ospitava più di mille migranti in transito in questo spicchio tra in due pezzi di Bosnia a nord, con di fronte l’Europa agognata che lì è croata, e li respinge a suon di manganellate.
«Sigillate le frontiere esterne, i profughi restano per mesi e anni bloccati nel limbo bosniaco e da qui tentano il disperato passaggio per la Croazia, il ‘game’, come lo chiamano i più combattivi tra loro, il gioco al massacro direzione Europa dove sei fortunato se ti resta la pelle addosso», scrive Alessandra.

Il campo di Lipa, tra Bosnia e Croazia

«Il campo di Lipa era stato pensato come una soluzione provvisoria per dare una sistemazione ai profughi rimasti fuori dai centri di accoglienza e contenere così la diffusione della pandemia. L’Agenzia dell’Onu per le migrazioni, l’Oim, che gestisce il campo ne aveva disposto la chiusura pochi giorni prima che l’incendio lo distruggesse quasi completamente». Da allora centinaia di migranti, tante famiglie con bambini, sono abbandonati a loro stessi, cercando di sopravvivere alla fame e soprattutto al gelo dell’inverno balcanico.
«Ho visto persone che non si reggevano in piedi, avevano la febbre alta, il corpo congelato. Ho visto persone ripararsi nelle foreste tentare di sopravvivere alle notti all’addiaccio con dei sacchi della spazzatura montati a mo’ di tenda. Ho visto persone malate non avere medicine, non avere nulla per alleviare le proprie pene».

Sarajevo e il suo dramma non troppo lontano

Altri hanno cercato salvezza il centri d’accoglienza di altre città, a Sarajevo ad esempio. Anche se la capitale bosniaca, più a sud, li allontana da quell’Europa che esiste forse solo nelle loro speranze, nei loro sogni. In ciò che resta del campo di Lipa, restano la Croce Rossa e qualche ong locale come Sos Bihac. Distribuiscono un pasto al giorno, un po’ d’acqua, dei sacchi a pelo ma «non è sufficiente», obietta la giornalista.
«Di quel pasto atteso, a volte i migranti ne ricevono solo la metà. Stanno morendo di fame, di freddo, questa è la nuda realtà. Ci chiedono cosa ne sarà di loro, ma non sappiamo cosa rispondere. Ed è forse questo ciò che lascia più sconcertati: non si intravede alcuna soluzione, almeno non nell’immediato».

Gli appelli umanitari e i sordi Ue

Sabato scorso Oim, Unhcr e Danish Refugee Council sono tornate a chiedere un intervento immediato per il ricollocamento dei migranti rimasti fuori dal campo profughi di Lipa ad evitare la catastrofe umanitaria in corso. Una possibile via d’uscita sarebbe il trasferimento dei profughi nell’ex fabbrica di Bihac, il Bira, che fino al settembre scorso ha ospitato circa tremila persone.
Ma le autorità locali dicono no. Anche per loro, quella massa di disperati senza soluzione e senza nulla, è ormai un problema serio. Dalla città di Bihac e dintorni, l’opposizione alla proposta delle associazioni umanitarie, con cittadini che ogni giorno manifestano di fronte ai cancelli del vecchio centro di accoglienza per impedire l’eventuale ingresso dei profughi.

Non solo noi, Bosnia, ma tutti noi Europa

La popolazione locale si difende dalle accuse di intolleranza: la situazione, sostengono, è fuori controllo, lo Stato e le organizzazioni internazionali hanno fatto ricadere i costi dell’accoglienza su una comunità già gravata dalla povertà e dall’assenza di un futuro per i tanti giovani che migrano verso l’Europa in cerca di una vita migliore.

Ma un po’ più a nord, dove inizia l’Ue, accade anche di peggio

Inganni, botte e sevizie nel rimpiattino balcanico crudele delle migrazioni

Il viaggio dei disperati dall’’Afghanistan o dalla Siria lungo la ‘rotta balcanica’, tra violenze e torture inaudite da parte della polizia di più Stati. L’inchiesta di Nello Scavo, su Avvenire che denuncia e documenta le sevizie dalla polizia croata prima del respingimento in Bosnia. Infine, le centinaia di profughi con diritto alla protezione respinti dall’Italia verso la Slovenia, e da lì a scendere verso l’inferno.

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