Il Messico, il Pakistan, le Filippine, l’Honduras, l’Iran e l’Iraq. Nel 2020 sono stati uccisi 50 giornalisti nel mondo e la maggior parte lavorava in Paesi non in conflitto. È uno dei dati che emergono dal rapporto annuale di Reporters sans Frontières che analizza lo stato di salute del giornalismo nel mondo. E a prescindere dal Covid, non stiamo affatto bebe. In dieci anni, dal 2011 a oggi, Rsf ha censito 937 vittime, ma il numero dei morti cala più o meno costantemente dal 2012. Moriamo di meno perché abbiamo molte meno occasioni di lavoro?
Quest’anno sono stati uccisi mentre facevano il loro lavoro 50 giornalisti, anche se secondo l’organizzazione sono arrivate meno segnalazioni a causa della pandemia.
Il numero dei giornalisti uccisi in zone di guerra diminuisce, è una tendenza che va avanti dal 2016, ma aumentano le vittime nei Paesi cosiddetto ‘pacifici’, non in guerra dichiarata: nel 2016, il 58% dei giornalisti è stato uccisi in zone di conflitto contro il 32% di quest’anno. Gli Stati più a rischio si sono rivelati il Messico con 8 morti, l’India (4), il Pakistan (4), le Filippine (3) e l’Honduras (3).
Rsf sottolinea il modo particolarmente cruento con cui sono stati uccisi in Messico il giornalista Julio Valdívia Rodríguez del quotidiano ‘El Mundo de Veracruz’, trovato decapitato, e il suo collega Víctor Fernando Álvarez Chávez, fatto a pezzi nella città di Acapulco. In India, il giornalista Rakesh Singh Nirbhik è stato “bruciato vivo” mentre il giornalista Isravel Moses, corrispondente di una stazione televisiva del Tamil Nadu, è “stato ucciso con il machete”, riporta Rsf.
Dall’Iraq alla Nigeria documentare le proteste è diventato sempre più pericoloso: «In un nuovo sviluppo nel 2020, sette giornalisti sono stati uccisi mentre coprivano le proteste», si legge nel rapporto. Omicidi Stato. «In Iraq, tre giornalisti sono stati uccisi esattamente nello stesso modo: da un colpo alla testa sparato da uomini armati non identificati mentre coprivano le proteste. Un quarto è stato ucciso nella regione del Kurdistan settentrionale dell’Iraq mentre cercava di sfuggire agli scontri tra forze di sicurezza e manifestanti». In Iran, pochi giorni fa è stato giustiziato il fondatore del canale Telegram Amad, il giornalista dissidente Ruollah Zam. A indebolire i giornalisti non ci sono solo “i rischi legati alla professione” ma anche le leggi statali.
Quasi venti giornalisti investigativi sono stati uccisi quest’anno: alcuni indagavano su corruzione e appropriazione indebita di fondi pubblici, altri si stavano occupando di mafia e criminalità organizzata, altri ancora di questioni ambientali.
Ad oggi nel mondo ci sono ancora 387 giornalisti detenuti, nel 2020 è cresciuto anche il numero di giornaliste arrestate, + 35%. Nei primi quattro mesi dell’anno, il numero di giornalisti arrestato è cresciuto di quattro volte anche per la copertura sulla pandemia.