Israele alle urne per la quarta volta in due anni. L’eterno Netanyahu tra governo e processo per corruzione
Israele alle urne per la quarta volta in due anni. L’eterno Netanyahu tra governo e processo per corruzione

Ricordando i presunti successi nella lotta alla pandemia e gli accordi con quattro paesi arabi, ieri Benyamin Netanyahu di fatto ha dato inizio alla campagna elettorale che porterà Israele al voto anticipato per la quarta volta in due anni. Partita tra destra nazionalista, destra religiosa e destra e basta.

Israele in guerra perenne anche in casa

La coalizione guidata da Netanyahu e dal suo rivale, il ministro della Difesa Benny Gantz, ha mancato il termine di mezzanotte per approvare il bilancio 2020, una condizione che per legge ha costretto lo scioglimento automatico del parlamento. La follia del voto anticipato per la quarta volta in due anni.  Tutti contro tutti. Il partito centrista, Blu Bianco, che per tre elezioni ha conteso la vittoria al Likud, quasi non esiste più, ridotto in macerie dalla decisione di Gantz di allearsi con Netanyahu. Ma alle prossime elezioni Netanyahu dovrà guardarsi dal suo ex compagno di partito Gideon Saar e leader della nuova formazione New Hope che secondo i sondaggi insidierà concretamente il Likud. Ma sempre rigorosamente a destra.

Rielezioni e processo Netanyahu

La riapertura delle urne è prevista per marzo e con la campagna elettorale resta inevitabilmente prigioniera di almeno due temi chiave: la pandemia  e il processo per corruzione che vede imputato Netanyahu, il cui inizio è stabilito per l’inizio del 2021. Con la formazione centrista guidata da Gantz precipitata nei consensi,  il Likud -ormai partito personale di Natanyahu- rimane sempre in testa nei sondaggi ma ha da guardarsi le spalle in casa nazionalista.  Tikva Hadasha (Nuova speranza), un nuovo partito, schierato apertamente a destra, lanciato questo mese dal suo ex ministro Gideon Saar, che i sondaggi accreditano addirittura al secondo posto. A rosicchiare consensi al Likud è inoltre l’ascesa di Yamina, un’altra formazione di destra creata da un altro ex ministro, Naftali Bennett.

Israele stato etnico religioso

«Oscurato dalla crisi di governo e dalla prospettiva di un terzo lockdown nazionale, è ripreso il dibattito sulla legge fondamentale approvata dalla Knesset nel luglio 2018 che definisce Israele-Stato della nazione ebraica (e non di tutti i suoi cittadini) e non menziona l’uguaglianza di tutti i cittadini affermata nel 1948 alla fondazione dello Stato di Israele», ci ricorda Michele Giorgio su Nena News. Ieri alla Corte suprema, l’esame su 15 petizioni contro la legge voluta dal premier Netanyahu e sostenuta da tutta la destra maggioritaria alla Knesset. Dubbi su Israele «Stato ebraico e democratico», con qualche modifica chiesta dai moderati ebraici. Per i rappresentanti delle minoranze non ebraiche la legge va abolita, totalmente, per garantire in modo inequivocabile l’uguaglianza di tutti i cittadini e l’avvio di un percorso che porti Israele ad essere uno Stato non più sionista in cui possano identificarsi pienamente non solo gli ebrei.

Israele Stato ebraico e democratico?

«Se l’Alta Corte non esaminerà la legge Stato-nazione secondo le norme e i criteri derivati da valori universali, giustificherà l’esistenza di un regime di segregazione per mandato costituzionale a favore di un gruppo etnico dominante che cerca di attribuirsi la supremazia esclusiva», ha avvertito l’avvocata Sawsan Zaher, del centro Adalah per l’assistenza legale alla minoranza araba. Pochi confidano che la Corte suprema israeliana possa accogliere le petizioni e chiedere l’abolizione della legge contestata dalle minoranze non-ebraiche. Potrebbero però sottolineare la criticità di un paio di articoli e questa possibilità ha fatto scattare l’allarme rosso nella destra. «Questa legge fondamentale salvaguarda Israele come Stato-nazione del popolo ebraico», ha tuonato il deputato ed ex capo dell’intelligence Avi Dichter (Likud). Lo speaker della Knesset Yariv Levin ha attaccato la stessa Corte suprema ammonendola dal prendere decisioni contro il voto del parlamento.

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