
«È la schiena curva e livida dei respinti a dire le sprangate. Sono le gambe sanguinanti a raccontare la disperata corsa giù dal valico. A piedi nudi, con le caviglie spezzate dalle bastonate e i cani dell’esercito croato che azzannano gli ultimi della fila. È l’umiliato silenzio di alcuni ragazzi visitati dai medici volontari nel campo bosniaco di Bihac per le cure e il referto: stuprati e seviziati dalla polizia con dei rami raccolti nella boscaglia. I meno sfortunati se la sono cavata con il marchio di una spranga incandescente, a perenne memoria dell’ingresso indesiderato nell’Unione Europea».
«Gli orrori avvengono alla luce del sole. Affinché gli altri, i recidivi degli attraversamenti e quelli che dalle retrovie attendono notizie, battano in ritirata. Velika Kladuša e il valico della paura. Di qua è Croazia, Europa. Di la è Bosnia, fuori dalla cortina Ue. Di qua si proclamano i diritti, ma si usa il bastone. Oramai tra i profughi della rotta balcanica lo sanno tutti che con gli agenti sloveni e gli sbirri croati non si scherza». Violenze che non se ne vedevano dalla guerra nella ex Jugoslavia. «Certi metodi non sembrano poi cambiati molto».
«I militari italiani non alzano le mani, ma sono al corrente di cosa accadrà una volta rimandati indietro i migranti intercettati a Trieste o a Gorizia. Più si torna al punto di partenza, e peggio andranno le cose». Una pratica, quella dei respingimenti a ritroso dal confine triestino fino agli accampamenti nel fango della Bosnia, non più episodica. Tutti da respingere? «Al primo posto gli afghani (811 persone), seguiti da pachistani, iracheni, iraniani, siriani e altre nazionalità, la maggior parte delle quali con diritto alla protezione», denuncia l’associazione dei giuristi dei diritti umani. Italia Slovenia con i primi pesanti ‘bentornati’, poi Slovenia Croazia, e lì sono botte vere sino alla Bosnia.
«Non è per il freddo delle gelate balcaniche che gli uomini appostati nella radura indossano un passamontagna. Il branco è lì per un’imboscata. Impugnano una spranga da cui pende una corda. Stanno per spaccare ginocchia, frustare sulla schiena, lanciare sassi mirando alla testa dei profughi. Sono soldati croati. E stavolta Zagabria non potrà più dire che non ci sono prove. Ora c’è un video che conferma le accuse di questi anni», denuncia e spera Nello Scavo. Ma non è detto. Rimproveri inutili dell’Ue, e il governo di Zagabria che smentisce l’insmentibile.
«Le sequenze sono raccapriccianti. Le urla spezzano il fiato. I militari infieriscono ripetutamente su persone inermi. A tutti sono state tolte le scarpe, i telefoni, il denaro, gli zainetti con gli unici ricordi delle proprie origini. Un uomo piange. Il volto gonfio, alcune ferite alla testa. Nella sua lingua biascica la più universale delle invocazioni: Mamma mia». Pochi giorni prima The Guardian aveva pubblicato un inchiesta di Lorenzo Tondo: la polizia croata veniva accusata di segnare i migranti islamici con una croce sulla testa, ma ancora una volta Zagabria aveva negato.
Nicola Bay, direttore in Bosnia del “Danish refugee council” spiega di avere identificato con la sua organizzazione «14.500 casi di respingimenti dalla Croazia alla Bosnia dall’inizio del 2020. Nel solo mese di ottobre, i casi sono stati 1.934, tra cui 189 episodi in cui migranti sono stati soggetti a brutale violenza, e in due episodi anche violenza sessuale, da parte di uomini in uniformi nere, con i volti mascherati». In una lettera la bosniaca Dunja Mijatovic parla delle «segnalai di gruppi di vigilantes locali che attaccano i migranti e distruggono i loro beni personali».
Pochi giorni fa a Bruxelles hanno chiuso un rapporto che conferma che nella Commissione Ue tutti sanno. «Nelle scorse settimane una bambina afghana di sei anni, Madina Hosseini, è stata uccisa da un treno al confine tra Croazia e Serbia» si legge nel dossier. «Secondo il rapporto, Madina e la sua famiglia erano arrivate in Croazia e avevano chiesto asilo, quando è stato detto loro di tornare in Serbia». Diritto d’asilo stracciato e la famiglia portata dalla polizia alla ferrovia, istruita a seguire i binari fino alla Serbia. «Poco dopo, la bambina di sei anni è stata uccisa da un treno».
Ricacciati indietro senza neanche poter presentare la domanda di protezione, molti passano per le mani delle guardie croate. Ma ora il fronte degli squadristi di Stato inizia ad incrinarsi, con qualche poliziotto cghe denuncia pratiche e ordini di violenza ricevuti, e il ministero dell’Interno di Zagabria respinge le accuse arrivate da testate come Der Spiegel, The Guardian e Avvenire, ma sempre con maggiore imbarazzo. Con molte organizzazioni ormai che raccolgono prove di abusi lungo tutta la dorsale balcanica. Offrire aiuti, ma soprattutto, «usare questi episodi per influenzare le politiche europee e nazionali».