
Dodici anni per decidere come scegliersi un sindaco tra fazioni nazionali con un passato di massacri feroci. Mostar, il capoluogo dell’Erzegovina a netta maggioranza croata, è l’ultima delle città della federazione bosniaca a rinnovare il consiglio comunale. Con la gestione internazionale molto spesso inadeguata quando non complice di folli divisioni. Nulla è facile in quella terra lacerata da nazionalismi sempre stupidi e spesso crudeli. «Nel resto del Paese le amministrative del 15 novembre –segnala Alessandra Briganti sul Manifesto-, hanno segnato per la prima volta l’arretramento dei partiti etno-nazionalisti che hanno dominato la scena politica bosniaca del dopoguerra».
La città simbolo della guerra tra croati e musulmani bosniaci, dell’offesa al mondo con lo storico ponte turco abbattuto, dei campanili a inseguire in altezza i minareti, dei francescani del santuario di Medjugorie rimasti alla crociate anti infedeli. Il peggio della gestione internazionale, che nel 2004 modificò lo statuto di Mostar e la legge elettorale della città. Contestazioni e sei mesi di tempo per garantire l’eguaglianza del voto, ma i mesi sono diventati dieci anni. E Mostar divenne feudo personale di Ljubo Beslic sindaco croato, esponente dell’Hdz, il partito ultra nazionalista croato, e del musulmano Izet Sahovic, esponente dell’Sda, partito nazionalista opposto, a tenere le casse, in proroga semi perpetua per ‘mandato tecnico’.
«I due avrebbero speso finora più di 400 milioni di marchi bosniaci a loro discrezionalità, senza che nel frattempo venissero indette nuove elezioni», denuncia Alessandra Briganti. Sino alla condanna dalla Corte europea dei diritti dell’uomo contro la Bosnia-Erzegovina per la discriminazione a danno dei cittadini di Mostar, impossibilitati a eleggere i propri rappresentanti. A giugno, la svolta ‘spintanea’. A contendersi i 35 consiglieri della città sono principalmente due coalizioni, le eterne formazioni nazionaliste Hdz-BiH e l’Sda. Con la novità di altri partiti di ‘contenuto politico’, socialdemocratici contro conservatori, ed è rivoluzione politica in prospettiva.
Il voto rappresenta anche un test per le relazioni tra Bosnia-Erzegovina e Croazia, caratterizzate dalla forte ingerenza di Zagabria negli affari interni e nelle relazioni esterne della Bosnia. Gravi le recenti dichiarazioni del presidente croato, Zoran Milanovic, che in occasione dell’anniversario di Dayton (l’assurda costituzione che strangola il Paese in due ‘entità statali’ e tre rappresentanze popolari), ha dichiarato che gli accordi di pace non potranno essere modificati «senza violenza». La Croazia più nazional sovranista in campo col premier Plenkovic, e alcuni ministri dell’Hdz croato. Padrinato o interferenza, scegliete voi.
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