Le scarpe della libertà
Le scarpe della libertà

Nei giorni scorsi pioveva. Fuori da un negozio guardavo mia moglie al bancone, con la sua giacca a vento e le scarpe pesanti, buone per camminare d’inverno, infangate. D’altra parte avevamo camminato in campagna, senza curarci troppo della pioggia. Col canetto zuppo e felice. Accanto a lei, un vecchio signore con scarpe simili. Infangate. Io stesso avevo magnifiche scarpe da campagna, da pioggia, da camminare con le calze di lana. 

Non esiste rivoluzione se non camminando. La lunga marcia, il primo passo, il mettersi in viaggio, il marciare per i diritti, il muovere il proprio corpo nello spazio insieme con gli altri per cambiare il mondo. Non da seduti, ammansiti. Camminando. Sotto la pioggia, col fango, per respirare aria pura, per spalancare la mente. Con poesia. Alla scoperta, viandanti, alla deriva, eretici, pronti a sovvertire il punto di vista più ovvio. Per cancellare decenni e decenni di visione prigioniera della vita. 

Sono stato felice guardando mia moglie con le sue scarpe belle e robuste, comode, utili, calde. E anche per aver camminato su strade sterrate e argillose, su terra, erba e muschio. Per aver sentito sotto i piedi l’energia della madre terra, e l’ispirazione poetica che spinge a non trascurare la vita, la semplicità della vita in questo paesino dove abitiamo e dove lavoriamo come avamposto culturale.

Un luogo che insegna a non rinnegarne l’essenza in cambio di piccole comodità banali che alla fine della storia si mostreranno sempre come catene, come quelle catene che un giorno o l’altro dovremo imparare a spezzare. 

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