La «diplomazia del vaccino» per non finire in guerra
«Diplomazia del vaccino» per non finire in guerra

La britannica Margaret Keenan, la prima europea ad essere stata vaccinata per il covid-19 all’ospedale universitario di Coventry, nel Regno Unito, 8 dicembre 2020. La diplomazia e la politica dell’uso dei vaccini nella guerra a produrli in maggior quantità possibile e a venderli al prezzo migliore. O regalarli al tornaconto geopolitico più vantaggioso e di più largo vantaggio.

Scorciatoia britannica e frottola Brexit

L’8 dicembre Margaret Keenan, cittadina britannica, è stata la prima persona a ricevere un vaccino anticovid in un paese occidentale. La Cina e la Russia somministrano i vaccini ormai da settimane, prima ancora di aver completato gli studi clinici.

Pierre Haski, su France Inter e Internazionale, non lascia spazio alla ‘sparate’ dell’inaffidabile Boris: «Londra si è preoccupata di alterare i fatti sostenendo che è grazie alla Brexit se il paese può vaccinare i suoi abitanti prima del resto del continente, quando in realtà il Regno Unito continua a seguire le regole dell’Unione europea. Il governo britannico, semplicemente, ha usato una clausola d’urgenza mentre i 27 paesi rimasti nell’Ue hanno preferito seguire la procedura classica, più lunga, per rassicurare gli scettici».

Boris incorreggibile contaballe

Aspramente criticato per la sua gestione irresponsabile della pandemia, il premier Boris Johnson ‘aggiusta’ come sa fare bene, la verità, e ora può vantare che il Regno Unito stia vaccinando la popolazione per primo rispetto all’Europa dell’Unione, in anticipo perfino sugli Stati Uniti, paese d’origine del laboratorio Pfizer che ha fornito i vaccini insieme alla tedesca Biontech. Washington non l’ha sicuramente presa bene, e prima o poi, il favore’ gli verrà restituito, con interessi.
Ma Boris Johnson, giù sull’orlo del baratro Brexit, roulette russa tra firmare accordo Ue facendo arrabbiate tutti i ‘brexiters’ più arrabbiati e tre quarti del suo partito conservatore, e il No Deal e la rottura con l’Ue col suicidio economico a quasi immediata dirompenza.

Vaccino, posta il gioco sanitaria e politica

Torniamo al vaccino politicamente ‘placebo’, tentativo di cancellare la memoria dell’ecatombe da virus che grava sulle spalle dello scapestrato leader. «La pandemia non ha fermato le battaglie ideologiche e le rivalità tra le potenze», annota Haski. E tutti i governi giocano la salute e sopravvivenza dei loro concittadini e dei loro stessi governi sulla non facile gestione della campagna di vaccinazione, sapendo che pagherebbero a caro prezzo eventuali errori logistici o di un rifiuto consistente del vaccino da parte della popolazione per mancanza di fiducia.
«Ma esiste anche un contesto planetario in quello che potremmo definire “nazionalismo dei vaccini”. La pandemia non ha fermato le battaglie ideologiche e le rivalità tra le potenze, come hanno dimostrato cinesi e statunitensi».

Il nazionalismo dei vaccini

«La Cina, dopo aver riscritto la storia della pandemia per far dimenticare le bugie iniziali e presentare un’epopea trionfale in gloria del suo capo supremo Xi Jinping, mette in atto una “diplomazia del vaccino” molto attiva. Pechino, infatti, propone i suoi vaccini ai paesi che fanno parte delle nuove “vie della seta”, che naturalmente saranno riconoscenti all’alleato cinese. Mosca fa lo stesso promettendo il suo Sputnik V a una quarantina di paesi». E l’Europa?
«L’Europa, è rimasta fedele ai suoi valori, favorendo in primavera la creazione dell’iniziativa Covax insieme all’Organizzazione mondiale della sanità per permettere a tutti, e non solo ai paesi ricchi, di accedere al vaccino. I cinesi hanno partecipato timidamente all’iniziativa, mentre gli Stati Uniti di Donald Trump ne sono rimasti completamente al di fuori».

Unilateralismo Usa, addio Trump senza rimpianti

«Il presidente statunitense uscente è andato avanti sulla strada dell’unilateralismo, e l’8 dicembre ha firmato un decreto esecutivo ordinando che gli americani ricevano il vaccino prima del resto del mondo. Il problema è che secondo il New York Times il mese scorso Trump si sarebbe lasciato sfuggire l’occasione di ordinare cento milioni di dosi del vaccino Pfizer».
«È triste registrare questi conflitti su un tema che avrebbe potuto unire il pianeta per combattere un flagello che non conosce frontiere. È un’occasione persa che lascerà tracce profonde quando arriverà il momento di stilare un bilancio», la conclusione amara di Pierre Haski.

Guerra dei vaccini e regole al fronte

Pandemia sfida globale in cui nessun territorio potrà dirsi sicuro fino a quando il virus non sarà sotto controllo ovunque, e dunque l’unica risposta definitiva è lo sviluppo e la produzione di un vaccino sicuro ed efficace da rendere accessibile a ogni individuo su base universale, segnala Agostina Latino, dell’ISPI.
Ma secondo quanto riportato dalla rivista scientifica Nature sono già più di 2 miliardi le dosi di vaccino che i Paesi più ricchi si sono assicurati tramite accordi commerciali. Primo, proprio il Regno Unito che si sarebbe assicurato un totale di 340 milioni di dosi, cinque somministrazioni per ogni cittadino. Secondi gli Stati Uniti, con 800 milioni di dosi di almeno sei vaccini in via di sperimentazione, a seguire, l’Unione Europea e il Giappone che hanno prenotato centinaia di milioni di dosi di vaccini.

Cina e Russia vaccinazioni da settimane

Ora c’è chi paragona il vaccino agli aiuti del Piano Marshall del primo dopoguerra. E la «Diplomazia dei Vaccini» è in corso in Medio oriente, in Bahrain, Egitto, Giordania, Emirati Arabi, Arabia Saudita. Anche Pakistan e Bangladesh entrano negli accordi. In centro e sud America: Messico, Brasile, Argentina Perù. Vaccinazione di massa dall’11 in Turchia, vaccini venduti a Israele e brevetto concesso al Marocco per la produzione di un vaccino cinese per tutta l’Africa. Finora, più di 50 paesi si sono già assicurati 1,2 miliardi di dosi di Sputnik V, con laboratori in Brasile, Cina, Corea del Sud, India e altri paesi per produrre il vaccino.

Tags: vaccino
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