L’algoritmo del barbiere

L’algoritmo del barbiere

Il barbiere anarchico ha deciso che nella vita occorre provare tutto. La modernità va assaggiata, così, sebbene critico, si è iscritto a un corso per diventare influencer in comode lezioni seduti davanti al video per una modica cifra in cambio. Lui che nasce alchimista e ha radici nel futuro della memoria, si è messo davanti al pc ad ascoltare una giovincella che, spezzando il pane del sapere, saltellava giuliva sull’erbetta dell’algoritmo.

Dopo la prima lezione ha rinunciato. Troppo avanti con l’età per fare la Ferragni, troppa consapevolezza del passato per far finta che ogni cosa nasca adesso. La vita è nei campi di grano coltivati e non nell’informazione decisa dagli algoritmi del Seo, che poi sarebbe l’acronimo inglese per Search Engine Optimization, ha detto.

Vetero. Perdente. Poveraccio. Così gli ha scritto l’insegnante, non più giuliva, ma piccata. 

Vetero è un dato oggettivo, vista l’età – ha replicato il barbiere -, perdente è il participio presente di un passato, perduto, che amo (“Quei giorni perduti a rincorrere il vento, a chiederci un bacio e volerne altri cento…”). Povero non lo capisco; se attiene alla capacità economica non può essere considerato un insulto, a meno che non si consideri ricco un pregio. E poi, da anarchico dico che i poveri in spirito cristiani sono i miei preferiti, cioè gli umili, i semplici, quelli che non si arrogano il diritto di schiavizzare il prossimo.

Così, un po’ per rabbia e un po’ per raccontare questa storia, il barbiere è venuto in libreria e come sempre accade, un libro l’ha chiamato. Lui lo ha preso in mano e ha letto la quarta di copertina:

“Il controllo totale insito nel trionfante paradigma digitale non viene più percepito come una minaccia alla libertà, ma come un servizio volto a migliorare la vita e realizzare i desideri dell’utente-cittadino. Una presa di potere tanto nel pubblico quanto nel privato che si fonda su un’inedita servitù volontaria in cui siamo noi stessi a dare all’algoritmo-padrone i dati per meglio profilarci. E manipolarci”.


L’ha guardato incantato: Gli algoritmi della politica, di Salvo Vaccaro, Eleuthera, lo prendo. 

Così ha detto e così ha fatto, ripensando alla giuliva giovincella manipolatrice che voleva spiegargli come influenzare il prossimo sui social. Più sereno ha raccontato della dolcezza ruvida delle compagne di un tempo, di quell’allegria piena di utopia, delle notti in bianco per cambiare il mondo, dell’amore. 

Mi sembra di essere in viaggio con Gulliver e di vedere quei lillipuziani e la loro società asociale che intruppa gli imbecilli e li fa ballare sulla corda sospesa facendo credere loro che da queste capacità dipenderà il bene e il domani.  

Così il barbiere: poi ha pagato il libro e se n’è andato.

Articolo precedente

Ex presidenti Usa: privilegi, miserie e conti in sospeso

Articolo successivo

La città che cura. Viaggio nelle periferie della salute

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Most Popular

Remocontro