«L’esercito federale ha il pieno controllo di Makallè», ha annunciato ieri sera il premier etiope Abiy Ahmed, che chiesto alla comunità internazionale di «unirsi alla ricostruzione per dare alla gente l’assistenza umanitaria e la sicurezza che merita». Ma la guerra continua in guerriglia: obiettivo, l’arresto di 64 persone, la cricca – come la definisce Abiy –, i vertici del Tplf, tutti veterani di guerra ed esperti di guerriglia, quella che per 17 anni (dal 1975 al 1991) hanno condotto per abbattere il precedente regine dittatoriale del Derg.
Le forze federali sarebbero avanzate intorno alla capitale tigrina, la cronaca di Fabrizio Floris sul Manifesto, ma i dettagli dei combattimenti sono difficili da confermare perché tutte le comunicazioni telefoniche e internet sono interrotte. Makallè, 500mila abitanti, sarebbe finita sotto «pesanti bombardamenti», ha dichiarato alla Reuters il leader del Tplf Debretsion Gebremichael. L’artiglieria avrebbe colpito anche il centro della città. Replica del, portavoce del governo, «l’esercito etiope non ha come missione bombardare la propria città e il proprio popolo».
A livello internazionale il Papa ha esortato le parti in conflitto a far cessare le violenze affinché sia salvaguardata la vita, in particolare dei civili. Ma l’unica apertura del governo è stato l’impegno ad aprire «una via di accesso umanitario» alla regione. Una delegazione della Croce Rossa Internazionale che ha avuto accesso al Tigray occidentale ha raccontato di villaggi distrutti, e di sfollati che vivono in campi improvvisati senza cibo, acqua o cure mediche. 43.000 rifugiati ufficiale in queste tre settimane di guerra.