
«Non era un’invenzione dei giornalisti il contrabbando di petrolio sottratto dalle milizie libiche alle raffinerie di Stato, poi esportato in Europa attraverso una flotta di navi cisterna coordinate da faccendieri maltesi e infine distribuito con la logistica della mafia siciliana».
Una decina di persone arrestate a Malta, nomi eccellenti noti anche agli investigatori italiani. Il più conosciuto tra gli indagati è Darren Debono, già stella del calcio locale, e l’altro ex calciatore Jeffrey Chetcuti. Altrettanto noti e vip il notissimo avvocato, Arthur Azzopardi, ed un consulente fiscale Chris Baldacchino. Secondo il Dipartimento reati finanziari di Malta, l’organizzazione avrebbe a disposizione un paio di petroliere e una flottiglia di motopesca adattati al trasporto di prodotti petroliferi.
In almeno 22 spedizioni illecite è stato documentato il coinvolgimento di una società svizzera, la Kolmar che avrebbe versato all’organizzazione almeno 11 milioni di dollari per accaparrarsi carburante a buon mercato.
«Il principale centro di approvvigionamento è la Azzawiya Oil Refinery Company. A impedire i furti di petrolio dovrebbe pensarci la divisione di Zawyah della Petroleum facility guard (Pfg)». La volpe messa a guardia del pollaio. L’esercito privato incaricato di sorvegliare è agli ordini del clan guidato dai fratelli Koshlaf, i veri datori di lavoro di Abdurhaman al Milad, quel Bija del traffico di esseri umani che fino a un mese fa, quando è stato poi arrestato, comandava la guardia costiera e il porto petrolifero di Zawyah.
Già la Direzione investigativa antimafia italiana aveva denunciato «un traffico di petrolio importato clandestinamente dalla Libia e che, grazie a una compagnia di trasporto maltese, veniva introdotto sul mercato italiano sfruttando il circuito delle cosiddette pompe bianche». Traffici mafiosi con copertura maltese che aveva denunciato per prima la giornalista maltese Daphne Caruana Galizia. Era l’ottobre 2017 e il 17, due giorni prima della retata concordata tra Catania e Malta, Daphne fu uccisa con una carica di esplosivo sotto la sua auto.
Dopo l’inchiesta della procura etnea e un terremoto ai suoi vertici politici, Malta aveva chiesto sanzioni internazionali contro i manager del contrabbando. Ma a sorpresa, nell’agosto del 2019 la rappresentanza di Mosca all’Onu annunciò di voler porre il veto al provvedimento con cui il Consiglio di Sicurezza si apprestava a disporre il blocco, ovunque nel mondo, dei patrimoni della gang di maltesi, libici e siciliani, per «aver minacciato la pace, la stabilità e la sicurezza della Libia».