Polonia Ungheria Recovery found
I fondi-Covid europei bloccati dal ricatto di Polonia e Ungheria a coprire i loro autoritarismi

«Un veto che fa storia, quello esercitato ieri da Ungheria e Polonia», denuncia l’autorevole Ispi,  l’Istituto per gli studi di politica internazionale. Storia vissuta muovendosi all’incontrario: ‘se tu tocchi i miei autoritarismi interni e imponi il rispetto dello Stato di diritto, io ti blocco il bilancio’.  Una vergogna politica e una assurdità normativa europea da superare per non morire.

Il leader politico polacco Jaroslaw Kaczyński

Recovery Fund: il veto che mette a rischio l’UE

Bilancio europeo 2021-2027 da cui dipende il Recovery Fund, i fondo per l’emergenza Covid che anche l’Italia attende con necessità ed ansia, quello e tutto il resto bloccato per sovranismi autoritari arrabbiati. Budapest e Varsavia, per la prima volta pongono il loro veto formale al Consiglio europeo, che impone l’unanimità, e bloccano tutto. Eppure I fondi strutturali sono una sorgente essenziale per le loro economie. «Strade, ponti, ferrovie, riqualificazione urbana: migliaia di cantieri avviati nei due Paesi da quando hanno aderito all’Ue – correva l’anno 2004 – sono dovuti proprio ai fondi. E i fondi sono a loro volta calamita per gli investimenti delle aziende occidentali, da cui Ungheria e Polonia dipendono», rileva Matteo Tacconi, dell’ISPI.

Strappo dalle conseguenze imprevedibili

«Il meccanismo sullo stato di diritto prevede che gli esborsi possano essere congelati o ridotti, con decisione del Consiglio a maggioranza qualificata, nel caso in cui l’indipendenza e l’imparzialità della giustizia fossero gravemente lese». E proprio sulla giustizia, la Commissione Ue ha più volte richiamato, Budapest e Varsavia, protagoniste di un processo di vincolo della magistratura, un’appendice dell’esecutivo. I due Paesi hanno ignorato ogni raccomandazione, e ora alzano il muro contro la condizionalità sullo stato di diritto. «Commissione e presidenza tedesca non pensavano che potessero arrivare a tanto, visto che in ballo ci sono i fondi e il Recovery Fund. Hanno sbagliato i calcoli».

Orban e la «tattica del salame»

Viktor Orbán, e la «tattica del salame», tagliare e fette, poco per volta, tutti i contropoteri. «Prima la giustizia, poi la stampa, a seguire le università. Durante la pandemia, avocando a sé i pieni poteri, il primo ministro ha assestato duri colpi a quel poco di opposizione democratica presente sul territorio». Tutto il potere finanziario nelle mani di oligarchi organici a Fidesz, il partito di Orbán, con la mani sui fondi strutturali Ue e corruzione diffusa. Altro ricatto meno evidente ma analogamente pesante, con la Germania che fa lavorare le industrie ungheresi. Se te ne vai io chiamo Cina e Russia, minaccia Orban, ma non è proprio la stessa cosa. «Orbán ha un potere smisurato, può fare e disfare a suo piacimento. Eppure, rompere con Bruxelles è un passo davvero lungo, forse troppo».

Il goulash ungherese il salsa polacca

La Polonia del partito nazional fideista e bigotto di Kaczyński, il PiS, ha cercato di importare la ricetta ungherese, ma senza ottenere gli stessi risultati. Il PiS ha vincolato a se la giustizia e ha vinto elezioni, ma sempre per un pelo. «Non controlla le grandi città, baluardo dell’opposizione liberale e motore della crescita economica. Non ha sottomesso le accademie. Non flirta con la Russia, considerata nemica storica, non è così empatica verso la Cina e ha perso di recente l’unica sponda internazionale che poteva contare: quella dell’America di Trump». Di recente il movimento delle donne – sostenuto dai giovani – ha dato vita a proteste di massa contro la crociata anti-abortista del governo e della chiesa, una delle fonti del potere di Kaczyński. Sfida all’Europa per distrarre dai problemi di casa, con un governo con grossi problemi interni?

Sulla strada del Recovery anche il PPE

Oltre a Ungheria e Polonia, a frenare il cammino del recovery fund ci si mette anche il Ppe, i popolari europei, la più grande famiglia politica europea che conta 187 eurodeputati, segnala Angela Mauro sull’HuffPost. Il presidente del gruppo, il tedesco Manfred Weber, chiede di rinviare a dicembre il voto finale sull’accordo concluso con la presidenza tedesca. Un tentativo di accordo sul fronte democristiano interno Ue. Ma la maggioranza degli altri gruppi parlamentari – Socialisti, Verdi, Gue e Renew Europe – chiede di iniziare intanto a votare la parte sullo stato di diritto, alla plenaria della prossima settimana, a dare subito un segnale chiaro a Polonia e Ungheria. E il tedesco Weber avverte gli amici popolari e reazionari dell’est:

 «Giudici indipendenti e media liberi sono alla base delle nostre democrazie e della nostra libertà. Non scenderemo a compromessi su questo».

Soluzione tecnica rischio bomba politica

Come ‘aggirare’ il ricatto di Polonia Ungheria? Lo spiega Marco Bascetta sul Manifesto, ma è arma pericolosa. Aggirare il veto di Budapest e Varsavia stanziando fondi comuni che non passino attraverso il bilancio dell’Unione, escludendo Ungheria e Polonia da ogni beneficio. Non sono pochi che cominciano a invocare una simile soluzione. Più problematico capire se questo scontro contribuirà a rafforzare il nazionalismo ungherese e polacco o sospingerà l’opinione pubblica di quei paesi a prendere radicalmente le distanze dalla pericolosa avventura intrapresa dai partiti che li governano. «Fino ad oggi è stato permesso ai governi «illiberali» dell’est di salvare capra e cavoli (involuzione autoritaria e comoda collocazione europea) facilitando loro così il mantenimento del consenso, ma si tratta di un equilibrismo sempre più difficile da mantenere. E che il contesto esasperato della pandemia rende ormai pressoché intollerabile».

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