Cessate il fuoco nel Nagorno Karabakh: truppe russe e turche di interposizione
Armenia e Azerbaijan firmano ‘un cessate il fuoco totale’. Di fatto la resa armena dopo una serie ininterrotta di sconfitte militari. La guerra trentennale per il controllo dell’enclave secessionista finisce dunque con una vittoria dell’Azerbaijan, che nel 1994 fu costretto a firmare un armistizio altrettanto doloroso che concedeva di fatto agli armeni il controllo del Nagorno Karabakh, costringendo 750 mila azeri ad abbandonare le loro case e le loro terre nell’enclave. Verosimile che adesso accada la stessa cosa, ma a ruoli invertiti. Pulizia etnica ‘alla bosniaca’. Un conflitto che nell’ultimo mese e mezzo ha provocato almeno cinquemila morti.
Mappa da Limes
Marc Innaro da Mosca
E’ in pieno svolgimento il ponte aereo russo per trasportare nel Nagorno-Karabakh 2.mila soldati di Mosca e un centinaio di blindati. Anche la Turchia potrebbe schierare un proprio contingente militare, ma solo dalla parte dell’Azerbaigian. Per i prossimi 5 anni, le forze russe d’interposizione dovranno far rispettare il cessate-il-fuoco siglato nella notte dal Premier armeno Pashinian e dal presidente azero Aliev. Decisiva la pressione esercitata da Vladimir Putin, d’intesa col presidente turco Erdogan.
La pace di Putin ed Erdogan
A 45 giorni dall’inizio dell’offensiva dell’Azerbaigian per la riconquista dei territori persi 28 anni fa, l’accordo di fatto sancisce la disfatta militare dell’Armenia, ma probabilmente anche quella politica del suo Primo Ministro, Nikol Pashinian. Non a caso, subito dopo l’annuncio del cessate-il-fuoco, centinaia di manifestanti inferociti hanno preso d’assalto e saccheggiato gli edifici governativi di Yerevan e hanno malmenato il Presidente del Parlamento armeno.
L’Armenia mal governata
Pretendono la rimozione del Premier Pashinian, colpevole –a loro dire- di aver mandato inutilmente a morire centinaia di soldati. Dall’altra parte, invece, a migliaia sono scesi in strada a Baku per celebrare la vittoria dell’esercito azero e la riconquista delle proprie terre. La svolta nel conflitto c’era stata sabato scorso, con la caduta di Shusha, la seconda città del Karabakh, snodo strategico fondamentale per assediare Stepanakert, la capitale della regione contesa.
Nessuna nuova Sarajevo
L’intervento deciso di Putin e Erdogan ha forse scongiurato una nuova Sarajevo, ma soprattutto ripropone, in salsa caucasica, quanto si è recentemente verificato in Siria.
E’ la pace di Putin. Dopo 45 giorni di combattimenti, e per evitare altri massacri, armeni e azeri accettano il cessate il fuoco in Nagorno-Karabakh. Le tre firme sono del presidente russo e dei due leader di Armenia e Azerbaijan: il sigillo a una crisi che gli Usa non hanno potuto gestire, presi com’erano dalla campagna elettorale, e che l’Europa non ha saputo risolvere, nonostante i miliardi spesi in questi anni di monitoraggio e peacekeeping.