
I primi due passaggi – il dramma e l’emergenza – sono sempre al centro dell’interesse mediatico. Il terzo svanisce nel tempo come nebbia al sorgere del sole. Le cause, in un modo o nell’altro, sono sempre rimosse dalla coscienza collettiva. Come se le cause fossero sempre accidentali e mai legate a un sistema che privilegia lo sfruttamento intensivo dei territori, del sottosuolo, la cementificazione e il disboscamento a favore del profitto di pochi contro l’interesse sociale e culturale di tutti.
Ho parlato di alberi tagliati e di territori devastati per non parlare di Covid. Ma il principio è lo stesso. La sorpresa, l’emergenza. La dimenticanza. In questo caso non parliamo di rimozione delle cause, ma di normali esercizi politici di prevenzione necessaria. Cioè delle azioni che andavano fatte per non farci trovare impreparati, sul piano della risposta sanitaria, su quello sociale, sui trasporti pubblici. Non solo di organizzazione e preparazione parliamo, ma di prospettive di lungo termine, che implicano cambiamenti epocali.
Ho l’impressione che sia la regola del terzo passo a renderci indifesi. Non guardiamo mai all’insieme, non ci poniamo il tema del futuro, della libertà non fatta di individualismi liberi apparentemente e obbedienti come mai nella storia, ma di quella che contempla l’idea di uguaglianza, giustizia sociale, bene comune e fraternità.
Certe decisioni opportune e di normale precauzione civile e di giustizia sociale non possono essere realizzate per non mettere in discussione un sistema economico ingiusto e cinico in cui la vita umana ha un valore relativo, mentre il profitto ha un valore assoluto.
Così per la nostra montagna sacra e devastata. Così per la mancanza di visione lungimirante nel mondo del post-Covid. Occorre batterci, non per lo spritz delle 18 e 30 ma per cambiare la nostra visione del mondo, quindi il mondo, passo dopo passo. Per tornare a respirare libertà.