le milizie agli ordini della Turchia rifiutano il disarmo
A Tripoli le milizie agli ordini della Turchia rifiutano il disarmo

L’influenza turca rischia di sabotare anche la tregua Onu concordata. In Libia Il ministro della Difesa schierato con Ankara: «L’accordo di Ginevra non preclude il sostegno militare turco». Ministri difesa e interni ai ferri corti per questione di potere e interessi personali. Chi obbedisce a chi, e chi guadagna cosa.

Ministro difesa Tripoli-Turchia all’attacco

Ankara non gradisce l’accordo Onu che prevede il ritiro di «tutte le forze straniere», e dà ordino contrari ai suoi mercenari a dintorni, milizie locali a suo stipendio e servizio. «Ankara vuole mantenere la sua influenza in Tripolitania –avverte Giordano Stabile su La Stampa-, dove ha appena ammodernato la base aerea di Al-Watiya in modo che possa ospitare i suoi F-16, e dove ha inviato centinaia di consiglieri militari e ottomila combattenti siriani per fermare l’offensiva del maresciallo Khalifa Haftar, dall’inizio dell’anno». Ma ora, -dopo la vittoria a Tripoli il fronte si è stabilizzato-, la Turchia militarmente vincente -, rischia di perdere la pace e chi sa quali contropartite segrete. «Funzionari dell’Onu hanno minacciato di sanzionare i capi delle milizie di Tripoli che rifiutano il disarmo dopo l’accordo raggiunto a Ginevra la scorsa settimana», segnala La Stampa. Ritrosia per gli ingenti ‘Investimenti’ militari turchi diventati -per colpo di pace- improvvisamente a perdere. La Turchia e non solo lei, va detto. Sulla via ancora ipotetica del ritorno anche i 1200 mercenari russi del gruppo Wagner e la dozzina di Mig-29 a sostegno del generale sempre perdente Haftar.

Scontro fra Tripoli e Misurata

«L’accordo di Ginevra prevede in teoria un disimpegno di tutte e due le potenze, e la creazione di forze armate libiche unificate, per mettere fine a quasi dieci anni di guerra civile». Ma, secondo il quotidiano panarabo Sharq al-Wasat, lo smantellamento delle milizie e la loro riunificazione in un corpo di sicurezza agli ordini del ministero dell’Interno è frenato dal ministero della Difesa del governo riconosciuto dalle Nazioni Unite e guidato ancora dal premier dimissionario Fayez al-Serraj. Parliamo delle milizie tripoline fedeli al ministro Salah al-Namroush, legato a doppio filo alla Turchia, che rifiutano di passare sotto il comando del ministro dell’Interno Fathi Bashagha, l’uomo di Misurata, pure lui vicino ai turchi ma con un buon rapporto anche con l’Italia e l’Europa in genere. Troppi ‘amici interessati’ attorno, il sospetto di Ankara. Ed ecco che il piano per trasformare le milizie in ‘carabinieri libici’, per metà forza armata e metà polizia, agli ordini del ministro dell’interno Bashagha, s’è arenata.

Liti interessate sull’interpretazione della tregua

Al-Narmoush ha firmato numerosi accordi con la Difesa turca, poco prima dell’intesa di Ginevra, compreso quello dell’addestramento della Guardia costiera, affidato alla Turchia sulla motovedette donate dall’Italia. Adesso, secondo il quotidiano Sharq al-Wasat, il ministro delle difesa decide di andare all’attacco contro le milizie di Misurata fedeli a Bashagha. Pressioni Onu, formalmente sulle fazioni libiche, ma di fatto su altre importanti capitali europee, non avranno successo, la tregua rischia così già di saltare. Per il ministro della Difesa l’accordo mediato dall’Onu «non include la cooperazione militare con la Turchia: confermiamo la cooperazione con il nostro alleato turco e la continuazione delle missioni di addestramento, in corso e future, in favore di tutte le forze affigliate al governo di accordo nazionale». Per Al-Narmoush la «cooperazione nel campo della sicurezza e dell’addestramento militare non ha niente a che fare con gli accordi per il cessate il fuoco». Una presa di posizione che non è condivisa da Haftar ma neppure da una parte dell’esecutivo guidato da Al-Serraj.

Difficoltà turche sempre più gravi

Vale ciò che ci ricorda nell’editoriale in pagina, Alberto Negri, sulla crisi turca che minaccia la sopravvivenza stessa del potere personale di Erdogan, e dell’intera economia turca.

«Erdogan impegnato su tre fronti di guerra, Siria, Libia, Nagorno Karabakh, nella crisi esplosiva nel Mediterraneo orientale, e dibattuto da gravi difficoltà economiche e sociali in patria. La Turchia è indebitata con le sue imprese per oltre 330 miliardi di dollari, in gran parte con banche europee».

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