Ingiustizie, paure e profitti: la storia ci giudicherà

Ingiustizie e paure

Mi sento un’anima in pena. Fuori furoreggiano virus e paure, il dibattito su questioni sconosciute si fa serrato, chi ci governa si destreggia, poggia le decisioni su logiche che scontentano o che sembrano poco decisive, o troppo invasive. Ognuno avrebbe fatto scelte diverse. Ognuno saprebbe sicuramente che cosa fare di meglio.

Però, mi chiedo, se non si considerano le condizioni generali, come si fa a giudicare e a decidere?
Le condizioni generali… che poi si tratta di un sistema dogmatico di scelte potenzialmente giuste ma impossibili, di scelte nefaste e vantaggiose o in equilibrio tra ciò che è giusto e ciò che si deve.

Funziona così la nostra democrazia. Non vige il principio di ciò che sarebbe giusto, ma di ciò che è meglio in circostanze date da regole ferree. Per una pandemia, così come dopo un’alluvione o per un disastro idrogeologico, un crollo di un ponte.

Direbbe il mio critico preferito, il barbiere alchimista e maoista: ti stai addentrando in un ragionamento oscuro, sii chiaro. Infatti è così: mi sono inoltrato nell’oscurità per tentare un discorso chiaro.

Esempio: forse qualcuno dei nostri governanti ha potuto decidere se fare una guerra o meno negli ultimi trent’anni? No, perché vivendo in una democrazia a sovranità limitata, certe decisioni sono sovranazionali e lo dimostrano le guerre che hanno devastato il mondo negli ultimi decenni e che sono sempre apparse come qualcosa di inevitabile e di profondamente legato al concetto di libertà dei popoli, celando invece le cause, legate esclusivamente al dominio di un modello di vita – quello occidentale in genere, quello statunitense in particolare – sostenibile solo per una minoranza e insostenibile per tutto il resto della popolazione.

Le guerre sono state strategicamente utili alla gestione militare delle risorse. E nel caso specifico nazionale, qualche governo ha forse potuto evitarle anche di fronte all’evidenza? Qualcuno si è ricordato della nostra bellissima costituzione? No. Neanche quando siamo andati, nel 2011, a bombardare la Libia, con Berlusconi a guidare il governo, e tutte le forze politiche a spiegarci che era necessario per proteggere i civili… Siamo andati in guerra al fianco di chi aveva interessi strategici contrapposti a quelli italiani in quell’area, se proprio vogliamo spaccare il capello…
Ma che importa, i governicchi che cosa potevano fare? Oggi la Libia è una polveriera e strategicamente l’Italia conta come il due di coppe quando regna bastoni. Vale qualcosa ricordarlo? Vale qualcosa ricordare l’indimenticabile beffardo commento della pessima Hillary Clinton, dopo il linciaggio di Gheddafi: “We came – We saw – He died, ah ah ah”. A proposito, il presidente se non ricordo male era il Nobel per la Pace, Obama.

Va bene questo salto all’indietro nella storia recente, ma come possiamo legarlo alla situazione della pandemia? Il barbiere, una volta tanto, coglie gli elementi di chiarezza nell’oscurità della riflessione.

Paghiamo un’evidente sovranità limitata, a livello internazionale. La paghiamo perché non sono mai emerse le circostanze storiche che hanno reso ferrea (e mediaticamente invisibile) questa dipendenza. In che modo ha agito e agisce, attraverso quali forzature della democrazia e quale buco della memoria. Chi ha osato parlarne è stato oscurato.

E dentro questo sistema si muove con tutta la sua ferocia il gioco del neoliberismo, di quel turbocapitalismo che ha le sue radici nelle differenze (di saperi, di possibilità, di giustizia sociale) e che muove le sue pedine sulla scacchiera della nostra democrazia. Non si sceglie ciò che è giusto in assoluto, ma ciò che è giusto relativamente a ciò che serve a una minoranza che ha interesse a mantenere, anzi ad aumentare, gli squilibri tra chi è ricco e chi è povero, tra chi sa e chi non sa.

Basta vedere i dati su chi in tempo di crisi si arricchisce ancora di più e chi invece perde tutto.  Per esempio la sanità: hanno tagliato decine di migliaia di posti letto, favorendo ovunque la sanità privata alla quale sono stati regalati centinaia di miliardi. E sempre tra squilli di tromba dei media e paraculaggine dei politici ben felici di occuparsi di questo aspetto così delicato e redditizio. Tanto che oggi siamo qui a temere il virus anche perché i soldi delle nostre tasse non sono serviti per rafforzare la sanità come bene comune, ma per foraggiare il profitto privato di chi opera nel settore.

Non solo, stessa cura nefasta per il trasporto pubblico, per la scuola, per il taglio della spesa a vantaggio delle fasce più deboli della società. Domanda: a favore di chi? Datela voi la risposta. In trenta anni la peggiore classe politica della storia, per tornaconto personale talvolta, altre volte per cecità o per necessità di carriera, ha fatto finta di non vedere che si stava costruendo un sistema di ingiustizie e di fragilità crescenti. E l’informazione ha preferito la politica dell’emergenzialismo e dei due punti, aperte virgolette, o del microfono aperto a far dichiarare il potente di turno. Quasi sempre su questioni irrilevanti. Mentre fuori cambiava il mondo e cambiava in peggio.

Oggi siamo sul bivio. Il virus ci mette a nudo: diventare più obbedienti (non importa se incazzosi o ululanti) e stupidi o riprendere a tessere le nostre vite, a pretendere libertà vera e non di scegliersi il cocktail? Che cosa faremo in futuro? Combatteremo ancora guerre, moriremo per strada abbandonati, vivremo da precari e da sfruttati, schiavi delle mafie e del profitto, considerando il lavoro non un diritto ma una concessione, chiedendo un favore all’ignorante arricchito, facendo finta che l’informazione ci spieghi la realtà? Imboscheremo il nostro attivismo nelle ansie e nelle paure, offuscati nel comprendere, privati di senso critico, miopi di fronte alle questioni scottanti e portanti della nostra epoca, ma vigorosi, furibondi, iene da tastiera, scatenati come un branco di cani contro una volpe di legno? Oppure, che fare?

Impossibile non essere anime in pena. Chi decide sbaglia, e certe volte sembra che non possa far altro. E sbaglierebbero anche gli oppositori. Perché le azioni sono vincolate da una struttura economico-sociale e militare assurda e profondamente ingiusta, che andrebbe sovvertita e che invece non può essere messa in discussione. Lo sapevamo da decenni e siamo rimasti a guardare il tramonto degli ideali, mentre gli spietati mettevano a reddito ogni ingiustizia, occupando tutto il campo democratico della discussione, ottenendo il risultato massimo: non avere opposizione.  Un risultato enorme, nel tempo in cui tutti sanno tutto e tutti possono parlare di tutto senza avere la minima cognizione di causa.

Abbiamo perso di vista l’idea che la libertà non è fare il proprio comodo quando ci conviene. Quella è la libertà dei ricchi e dei potenti che gli imbecilli fanno propria per un piatto di lenticchie: la nostra libertà non può mai esistere senza giustizia sociale, senza eguaglianza, senza fraternità vera.

Il barbiere tace. La storia ci giudicherà, forse lo sta già facendo.

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1 Commento

  • Libertè, ègalitè, fraternitè ou la Mort!

    Caro Cipriani, la Storia ha già giudicato!
    La Storia la fanno gli Uomini (e le Donne), Vincitori e Vinti…

    Però, confidare in un Futuro Migliore non costa nulla.
    Mi correggo, scusi, costa eccome! Costa il “sentirsi un’anima in pena”, come Lei e come me (e con noi tutti gli Uomini di Buona Volontà)!

    Per Aspera ad Astra… Suo,
    Fabio Alessandro

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