
E’ dunque vero che alcuni paesi sono più vicini di noi al muro contro cui andare a sbattere. Ma questo non deve distoglierci da un altro ordine di riflessioni. Con quali macchine stanno viaggiando, gli altri, per quello che riguarda la robustezza? A quale velocità stiamo marciando, noi e loro? E soprattutto, chi tra noi e loro sta frenando o invece ha ancora il piede sull’acceleratore?
Vista secondo queste nuove prospettive la nostra situazione “relativamente” migliore assume anche qualche connotato non proprio entusiasmante.
Diventa infatti opportuno individuare nuovi parametri, oltre a quelli maggiormente noti. Largo a tutti gli indici che non si limitano a fotografare l’esistente di ieri o di oggi, ma che, in sequenza, ci forniscono i lineamenti di come le cose evolvano nel corso del tempo, la loro velocità e la loro accelerazione.
Di quanto aumentano ricoveri, terapie intensive, decessi e con quali velocità e accelerazioni? E’ poco significativo limitarsi a sottolinearne il basso numero se si trascura il fatto che nel corso di un mese o due si sono moltiplicati per cinque o per dieci e che stanno mantenendo questo ritmo
Di quanto aumenta il rapporto tra i casi positivi rilevati e i tamponi impiegati? E’ dalla crescita di tale rapporto che emerge come la situazione stia sfuggendo di mano a chi dovrebbe individuare, tracciare e trattare i contagi.
E infine, di quanto aumenta, se aumenta, e con quali ritmi, il numero settimanale dei nuovi contagi su 100mila abitanti? E’ infatti questo l’indice che viene sempre più utilizzato, su scala internazionale, per monitorare l’evolversi della situazione sul breve periodo. Vale a dire su di un arco di tempo per il quale è relativamente possibile pronosticare il futuro prossimo a partire dal passato prossimo.
Altri esempi, prima di passare all’Italia, tanto per dire che da questo indice si possono ricavare sia segnali di allarme che di efficacia della strategia intrapresa. Due dei paesi al mondo che maggiormente avevano registrato segnali inquietanti erano stati, nelle ultime settimane, Argentina e Israele. Ma con la verifica di questo indice di contagio nell’ultima settimana le considerazioni da fare nel merito sono di segno opposto.
L’Argentina, a dispetto del clima meno freddo che sta aiutando i paesi dell’emisfero australe, continua a registrare una sia pur leggera crescita di un indice già estremamente elevato (oltre 200 nuovi contagi settimanali su 100mila abitanti). Israele nonostante stia di poco al di sotto (intorno a 150, un valore comunque nell’ordine della nostra Lombardia) può vantare un certo miglioramento rispetto ai valori catastrofici che, solo un mese fa, lo avevano posizionato oltre quota 400.
Veniamo dunque all’Italia e verifichiamo in quali termini sia vero che “gli altri stanno peggio”. Lo stanno, finora, quanto a numero dei decessi, un indicatore che in passato ci aveva visto agli ultimi posti e che ultimamente fornisce, per noi, numeri meno drammatici di altri paesi, miglioramento grazie a una minore congestione negli ospedali e al miglioramento delle terapie.
Però è anche vero che la curva dei decessi evolve con tempi più lunghi di quella dei contagi.
Stanno peggio anche per quanto riguarda ricoveri e terapie intensive. Ma bisogna considerare che strutture sanitarie come quelle francesi e tedesche sono meno vulnerabili delle nostre. In più non possiamo sentirci colle spalle coperte, guardando al futuro, se è vero che, ad esempio, i ricoveri, sono recentemente cresciuti, in Italia, di oltre il 50%, nel giro di una settimana.
Stanno peggio anche per quanto riguarda il numero dei casi ma è proprio questo l’indice da leggere con maggiore cautela. Lasciamo perdere i numeri assoluti calcolati dall’inizio della pandemia. Soprattutto con riferimento ad un passato più prossimo la Francia, il Belgio, la Gran Bretagna, la Repubblica Ceka, l’Olanda e la Spagna, tanto per fare gli esempi più macroscopici, stanno decisamente peggio di noi. Ma è anche tutto l’insieme dei paesi ex socialisti che se la passa male, dalla Polonia alla Romania, all’Ucraina, alla Russia “europea”.
Per quanto riguarda la velocità del virus nel suo circolare, quindi, il “peggio loro” ci sta tutto.
A voler però guardare il pelo nell’uovo di un futuro tutto da prevedere, c’è ancora un elemento di rischio da valutare. In Italia, negli ultimi giorni, tutti gli indici prima indicati non hanno mai smesso di gonfiarsi. Viceversa, in alcuni degli altri paesi, una volta pervenuti ad un picco superiore al nostro, i numeri quotidiani hanno iniziato a calare o quanto meno a rimanere poco più che stabili. E’ come confrontare i rischi corsi da due vetture. Una, che sarebbe l’Italia, è più lontana dal muro e procede meno velocemente. L’altra non solo è più vicina, ma marcia anche più velocemente.
Tutto bene per noi? Non proprio tutto, se è vero che noi stiamo spingendo sull’acceleratore e siamo già passati dai 100 ai 120 orari in poco tempo. Mentre l’altra vettura marcia ai 130 e ci sta davanti, ma ha tuttavia iniziato a lavorare coi freni.
Vediamo alcuni casi, limitandoci all’indice che misura il numero dei nuovi positivi settimanali su 100mila abitanti. Teniamo anche conto del fatto che mesi fa, in Germania, si era parlato di una quota 50 come soglia di allarme. Decisamente troppo allarmistica, se è vero che anche un epidemiologo come il nostro Crisanti, non troppo incline all’ottimismo, aveva proposto soglie di allarme equivalenti agli 80/90 nuovi casi settimanali. In Francia poi ci si era spinti ben oltre quota 100, visto anche che altrimenti, da quelle parti, avrebbero dovuto riconoscere che la soglia di allarme era già stata superata in tempi lontani. Ma passiamo ai dati del 20 ottobre.
Nota bene. I dati non vanno presi per oro colato a causa delle fornitura dei medesimi, che in alcune realtà come la Spagna, può avvenire per sussulti e singhiozzi. Emerge comunque un quadro complessivo della situazione che segnala con buona approssimazione, tre scenari.
Dalla prima settimana di ottobre a quella appena trascorsa, alcune delle nazioni europee che hanno registrato un maggior numero di casi si sono finora attestate su cifre che indicano una accelerazione relativamente leggera rispetto ad inizio mese (Germania, in minor misura l’Ucraina e forse la Spagna e la Gran Bretagna che si trovano però in situazioni di partenza molto peggiori che altrove).
Altre nazioni hanno visto un’accelerazione vertiginosa che solo negli ultimissimi giorni pare si sia relativamente ammorbidita (Francia, Belgio, Olanda).
L’Italia si colloca in una via di mezzo tra questi due scenari (accelerazione casi relativamente leggera o vertiginosa): apparentemente meno vertiginoso del secondo, ma anche più pesante del primo. Per il momento si può comunque dire che la nostra velocità di circolazione dei contagi non ha smesso di crescere. Per di più non va dimenticata una forte differenza tra Regione e Regione. La crescita dei casi in Lombardia, Liguria e Campania è grave soprattutto con riferimento alle aree metropolitane. Ma anche Piemonte, Toscana e Umbria e la provincia di Bolzano sono non di poco sopra a quota 100. Per non parlare della Regione con l’indice nettamente più alto, a livello dei Paesi francofoni, (la Valle d’Aosta). Per essa si può sperare che, per ragioni geografiche, la circolazione del virus sia meglio circoscrivibile in futuro.
E questo, a vedere il futuro, ci lascia in ogni caso con un filo di angoscia in più. A prescindere dalla situazione altrui.