La scelta politica: o il bosco di tutti o il profitto di pochi

Più cerco di evitare letture dei quotidiani e più il caso, accidenti a lui, mi mette davanti agli occhi la tragica realtà dei fatti che da anni cerco di obliare. Così, giorni fa mi capita in mano un pezzo intitolato: Alberi protetti, operai a casa. Nel testo si racconta di come gli operai di un’azienda specializzata in tagli di arbusti possano perdere il posto di lavoro per una decisione della Consulta. Quale? Per abbattere gli alberi nelle aree sottoposte a vincolo paesaggistico occorre sempre  l’autorizzazione della Sovrintendenza. 

A me sembra il minimo, dal momento che si parla di aree sottoposte a vincolo paesaggistico, quindi di pregevolezza ambientale in quello che viene definito il Belpaese. Ci manca solo che il bene comune rappresentato dai nostri boschi possa essere gestito a casaccio, senza regole. E invece no. Giù un piagnisteo infinito sulla burocrazia, sui lacci e lacciuoli che imbrigliano la libera impresa, con virgolettati stranamente rilevati solo da una parte. Dalla parte dei disboscatori seriali. Il succo del discorso: occorre dare agli imprenditori taglia-alberi mano libera e seghe rapide. O cominciano i licenziamenti. Un messaggio a mezzo stampa chiaro e sintetico.

Un super classico del ricatto lavoro-ambiente (quindi salute), già noto all’Ilva di Taranto, replicato in ogni situazione scabrosa dove, in cambio di un piatto di lenticchie per la collettività, l’impresa privata, votata unicamente al profitto e non al benessere della comunità, disbosca, devasta montagne, distrugge l’ecosistema, avvelena l’aria, inquina fiumi. Il tutto invocando lavoro e modernità. Talvolta con la complicità della politica, quasi sempre dei media che, in genere, sul senso del bene comune, del valore che un territorio sano e non distrutto ha per la comunità, non sono molto ferrati.

Il problema ambientale è ormai gigantesco e un po’ dimenticato. Non basta lavarsi la coscienza e piantare alberelli e lasciarli al loro destino ai margini delle città, occorre salvare i nostri boschi. Qui, da noi, ora. Non solo per sentito dire o tramite una raccolta di firme in Amazzonia. La battaglia va fatta qui, quando camminiamo attoniti e scopriamo la bruttezza di ettari ed ettari rasi al suolo e lasciati all’incuria. 

I boschi sono la nostra storia e il nostro futuro. Quando piove la montagna non protetta dagli alberi frana a valle. Invece di piangere dopo le alluvioni, i crolli, le devastazioni, i morti, sarebbe utile fare prevenzione, attivare culturalmente politiche che abbiano visione, che possano guardare oltre l’interesse minuscolo e super-privato di chi fa profitto annichilendo il bene comune. 

Servirebbe la politica, serve la politica. Servono scelte a favore dei cittadini e non delle imprese che per non licenziare chiedono sempre meno regole e mano libera per radere al suolo i boschi (nel caso specifico). Ora, per esempio, la parola riguardo agli abbattimenti sull’Amiata passa alla nuova giunta regionale che ha una buona occasione per farci sapere se sta dalla parte della comunità, del paesaggio, del principio di precauzione e dei diritti di futuro di tutti o dalla parte della deregulation a favore di pochi ma danarosi. 

E oltre alla politica serve un giornalismo che non sia sempre e solamente al fianco dei padroni, dei potenti, degli investitori, degli sponsor, ma che torni a camminare-domandando tra la gente.

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