
Una Turchia aggressiva come forse mai prima, salvo Impero ottomano. L’ormai esplicito coinvolgimento della Turchia nell’ennesimo conflitto tra l’Armenia cristiana e l’Azerbaijan musulmano e popolazione di ceppo turcomanno, dimenticandosi del debito storico turco ottomano col popolo armeno più di 100 anni fa. Contrasto etnico religioso ereditato dalla disgregazione della Unione sovietica, con l’ennesimo tentativo azero di riprendersi il territorio che negli anni 30 che le aveva assegnato Stalin, l’altopiano del Karabakh da sempre abitato da Armeni.
Dal 29 settembre è guerra diretta. «Caccia F-16 turchi durante una loro missione di combattimento hanno ha abbattuto un Su-25 armeno, il cui pilota è morto da eroe», il comunicato di Yerevan. Ankara nega, ma intanto le difese antiaeree armene hanno abbattuto almeno un paio di droni Bayraktar TB-2 già inviati da Erdogan in Libia e impiegati in Siria. La firma della Turchia in guerra. Foto esibite che dimostrano poco, e accuse incrociate usate come arma, mentre i combattimenti veri continuano, in beffa al cessate il fuoco chiesto dall’Onu.
Appena 5 giorni prima degli scontri, il 22 settembre, nel suo videomessaggio alle Nazioni Unite dei 75 anni, Erdogan aveva dichiarato, «L’Armenia è la più grande minaccia per la pace nel Sud del Caucaso e il conflitto per il Nagorno Karabakh può essere risolto solo ripristinando l’integrità territoriale dell’Azerbaijan». E gli Usa di corsa a dare l’ordine ai propri concittadini di girare alla larga. Chi doveva sapere sapeva, ma in troppi, lì attorno, stanno giocando sporco. Ad esempio gli azeri a maggioranza sciita come l’Iran che fanno una guerra a spinta sunnita. Mmm…
Le recenti relazioni positive dell’Iran con l’Armenia cristiana più che con l’Azerbaijan, ad esempio. Con gli azeri che hanno comprato molte armi da Israele, mentre Teheran nega di aver inviato forniture militari a Yerevan. Solo fatto certo, che l’Iran non si è schierato dalla parte dell’Azerbaijan, ma ha invocato «dialogo e negoziati nell’ambito del diritto internazionale». Paradossalmente la stessa posizione della rivale Arabia Saudita e di altri paesi islamici, a smentire la copertura esclusivamente religiosa e le sempre più diffuse diffidenze arabe nei confronti della Turchia.
Turchi e azeri, segnala Mirko Molteni su Analisi difesa si erano preparati all’azione già con ampie esercitazioni militari congiunte avvenute fra il 29 luglio e il 10 agosto in varie zone dell’Azerbaijan, sia nell’area di Baku, sia nel Nakichevan, con largo uso di aerei ed elicotteri. In quei giorni il sibillino presidente Aliyev aveva spiegato: «Facciamo ogni anno esercitazioni comuni, è vero che stavolta coincidono con gli incidenti di Tovuz: l’Armenia dovrebbe pensare se è una coincidenza o no. Ci sono solo 80 km dal confine armeno-azero del Nakhichevan a Erevan, l’Armenia lo sa e ha paura».
«La premeditazione delle nuove ostilità da parte azera pare del resto confermata dall’invio, che ormai sembra appurato, di centinaia, forse fino a 4000 mercenari siriani filo turchi inquadrati nel cosiddetto SNA, Syrian National Army, e provenienti dalle milizie jihadiste Hamza e dalle brigate Murad, formate sia da arabi, sia da turcomanni siriani, il che fa prospettare uno scenario di tipo “libico”», sempre Molteni. La domanda che si impone, se Ankara abbia davvero risorse economiche e militari, per affrontare tante crisi parallele, tenuto conto che la condotta “neottomana”, urtando molti paesi vicini, e i loro rispettivi alleati, rischia di isolare il Paese come mai negli ultimi decenni»
In Libia, dal 5 gennaio 2020 quando sono sbarcati i primi militari turchi e i mercenari siriani, si calcolano almeno 17.000 turchi loro armati. Ma alle porte di Sirte, Haftar ora è in difesa con aiuti che arrivano dalla vicina frontiera egiziana. Mentre altri attori come Francia, Emirati Arabi Uniti e Russia sostengono la Cirenaica. Empasse turca anche nel Mediterraneo orientale con tanti oppositori in campo, l’Unione europea che minaccia sanzioni, e la Nato tra due associati che si minacciano guerra. «Perfino l’ipotesi di sbaraccare la base NATO/Usa di Incirlik, Anatolia profonda, trasferendo le armi nucleari nella base greca della Baia di Suda, sull’isola di Creta».
Le varie sfide di Ankara si intrecciano con una crisi economica galoppante e la debolezza della lira turca, resa ancor più drammatica dall’epidemia di Covid. Debolezza politica interna che favorisce i gesti nazional islamisti come il ritorno della basilica bizantina di Santa Sofia di Istanbul, da museo a moschea. Con una certa logica sulla caccia alle risorse energetiche fuori casa, dalla Libia al gas sottomarino o al petrolio azero. O al ricatto all’Ue sui migranti. Dubbio di molti: ma Erdogan ha ormai la percezione reale di quale sia la ‘linea rossa’ che non può permettersi di superare? Molto azzardo nella sua politica di forza.
Le forze armate turche, un ‘gigante’ nell’area, salvo Israele. E l’appartenenza alla sempre più maltrattata Nato, nel balletto tra lei e Mosca a colpi di S-400. Erdogan Putin, reciproca diffidenza. Mosca ha con l’Armenia un’alleanza militare, ma non vorrebbe essere costretta a intervenire, per non riaprire i molto conti mai saldati nel contenzioso con la Turchia, pendenze messe da parte per reciproca convenienza. Autoritarismo di sistema politico compreso. Ma Russia e Turchia restano profondamente divise su vari dossier, e una guerra totale Armenia-Azerbaijan li porterebbe a uno scontro più o meno aperto peggio di Siria o Libia.
Gli armeni hanno in casa, nella 102esima Base Militare di Gyumri, un potente avamposto russo con 3.000 soldati dotati anche di missili antiaerei S-300, e 18 caccia Mig-29 nella base aerea di Erebuni, vicino a Yerevan. E russi e armeni si esercitano spesso assieme. Basterà questo a consigliare prudenza a Baku e Ankara? Il portavoce di Putin, Dimitri Peskov, invita tutti i Paesi della regione a dare prova di moderazione e a porre immediatamente fine alle ostilità. Ma assieme ricorda che «i militari russi in Armenia stanno monitorando da vicino i combattimenti in Nagorno Karabakh e sulla linea di contatto».
Alleanza atlantica tre scimmiette, non vede, non sente, non dice. Solo ‘America First’ ora distratta da elezioni e Covid presidenziale, e indicazioni non pervenute.