
Il blocco viene da Ungheria e Polonia. Ieri la commissaria ceca Vera Jourova aveva accusato l’Ungheria di essere una «democrazia malata», con Orban che ne chiede inutilmente le dimissioni. Commissaria molto severa: «Orbán ama dire che costruisce una democrazia illiberale; io direi che costruisce una democrazia malata». Il braccio di ferro è sulle «condizionalità» che la Commissione e l’Europarlamento intendono porre per beneficiare del Recovery Fund. Venerdì scorso, nella riunione degli ambasciatori dei 27 Ue, i due di Ungheria e Polonia hanno rifiutato di dare formalmente in via al processo di ratifiche del Recovery Fund. La situazione per il momento è bloccata e rischiano di mancare i tempi per sbloccare i soldi promessi.
Budapest e Varsavia rifiutano le condizionalità, e non è questione di economia o di principio, ma plateale ricatto. Oggi dovrebbe venire pubblicato un atteso rapporto sul rispetto dello stato di diritto nei 27. E l’Ungheria e la Polonia sono sotto la procedura dell’articolo 7 per ‘violazione dei valori fondamentali’. E subito i «frugali», che già avevano accettato obtorto collo il Recovery Fund, si sono infilati nella breccia: Olanda, Danimarca, Austria e Svezia, a cui si è aggiunta la Finlandia, sostengono che il Recovery Fund non passerà nei rispettivi parlamenti se non c’è la clausola di condizionalità del rispetto dello stato di diritto.
L’Europarlamento fa pressione e non si accontenta del vago riferimento di Ursula von der Leyen nel discorso sullo stato dell’Unione del 16 settembre -segnala Anna Maria Merlo- dove la presidente aveva posto come condizioni solo l’assenza di «frode, corruzione e conflitti di interesse». Secondo molte parti politiche parlamentari, «per una buona gestione dei soldi pubblici ci vuole una giustizia che funzioni, un’amministrazione non corrotta e quindi il rispetto dei valori della Ue al di là della semplice buona gestione dei fondi», e il messaggio verso Budapest e Varsavia e oltre, è chiaro.
Philippe Lamberts, dei Verdi, mette in guardia: «Si può abbattere la democrazia senza rubare soldi».
Resta ancora da approvare il bilancio Ue 2021-2027, ben 1100 miliardi, e anche in questo caso rientra in gioco la questione dello stato di diritto. «Tra gli ambasciatori c’è la speranza che si tratti di un bluff di Ungheria e Polonia, che hanno bisogno dei soldi del Recovery (23 miliardi promessi a Varsavia some sovvenzioni)», annota il Manifesto. Ma i due paesi refrattari si stanno organizzando. Hanno annunciato lunedì l’intenzione di creare un Istituto comune, incaricato di dimostrare che Polonia e Ungheria sono vittime di «due pesi due misure» sulla valutazione del rispetto dello stato di diritto.
L’ancora indefinito Istituto ungro-polacco avrà il compito di «lottare contro la repressione dell’ideologia liberale», accumulando conoscenze giuridiche per combattere le procedure avviate da Commissione e Europarlamento sulla base dell’articolo 7. Ungheria e Polonia rivendicano il diritto di portare avanti «posizioni nazionaliste», a cominciare dalla questione dei rifugiati, sulla base di «fondamenti cristiani», «spesso sgradevoli per le correnti liberali internazionali».
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