
Anzitutto anche Palamara avrebbe diritto ad un giudice imparziale, attributo che questa Sezione disciplinare, e questo Consiglio, non sembrano proprio possedere: sostiene l’incolpato addirittura che il Vicepresidente, Ermini sarebbe stato eletto dopo un accordo a cena, a casa dell’ex consigliere laico Fanfani, tra lui stesso, il sempre presente Cosimo Ferri e l’Ermini. Se fosse vero, come sembra visti gli scambi di messaggi, già il Vicepresidente si troverebbe in una posizione, diciamo così, delicata.
Lo stesso a dirsi del consigliere Davigo, il quale avrebbe partecipato, lui dice senza intervenire, ad una cena nella quale si sarebbe parlato di nomine, tanto da essere poi citato nella lista dei testi presentata dalla difesa di Palamara: Davigo non vuole astenersi dal giudizio e si trova così nella inconsueta veste di dover decidere, quale membro del collegio, sulla ammissibilità della sua stessa testimonianza: bizzarro no ?
Davigo stesso si trova anche nella situazione – scomoda per il consiglio, ma evidentemente non per lui – di essere prossimo alla scadenza del mandato in quanto il 20 ottobre compirà settanta anni: incurante di ciò, il consigliere sostiene di avere il diritto-dovere di terminare il quadriennio: se si arriverà alla condanna (come è del tutto certo) la sua posizione diverrà sicuramente un motivo di impugnazione: giova questo alla immagine della giustizia?
Ma v’è dell’altro. Giustamente il difensore di Palamara ha posto un problema più ampio: può esservi imparzialità in un collegio i cui componenti fanno parte di un consesso nel quale la discussione sul caso Hotel Champagne ha visto ed udito espressioni quali “metodi mafiosi”, “caso paragonabile alla P2” e simili ? Aggiungo che il giro di favori, anche meschini, chiesti al Palamara, dalla segnalazione (pure da parte di autorevoli politici) di magistrati meritevoli di carriera alla miserevole richiesta di biglietti della partita, era assai ampio, coinvolgeva tutte le correnti e non può essere addebitato al solo incolpato: tutti sapevano di un certo sistema, tutti ne facevano parte o, perlomeno, non lo denunciavano.
La giustizia è a pezzi e la fiducia dei cittadini è ai minimi termini da sempre: il lockdown continua di fatto nelle aule di corti e tribunali, l’arretrato credo abbia raggiunto dimensioni mostruose: mi dicono amici avvocati che in molte (troppe) sedi la chiusura non è stata neppure utilizzata per depositare sentenze ed ordinanze civili in attesa da mesi o da anni ma si è trasformata in una sorta di vacanza per tutti.
Il Ministro più inefficiente e più incompetente della storia (e ce ne vuole, visti i precedenti) non è stato capace neppure di indicare linee guida per la chiusura e poi la riapertura, continua a fare promesse da novello Giustiniano (nuovo processo civile, nuovo processo penale, nuovo autogoverno …) ma non amministra neppure il quotidiano.
In questo panorama desolante non sarà certo la condanna (esemplare, come richiesto a gran voce, anche da consiglieri che gli telefonavano tutti i giorni o quasi) in primo grado di Palamara a risollevare le sorti di una giustizia ormai a pezzi.
Mi piace in proposito citare un Maestro, il professor Padovani in una intervista a Il Dubbio del 24 agosto: “Palamara comincia a farmi simpatia: buttata via la pecora nera rimane un gregge di pecorelle bianche. Ci sono o ci fanno? Palamara aveva il potere di fare tutto quello che è accaduto da solo? O aveva bisogno di una miriade di rapporti, di relazioni, di complicità, di connivenze? E infatti la sua lista testimoniale evoca questa rete sociale. Han fatto bene i suoi avvocati: Palamara non era solo.
Sarebbe bene che l’ANM e i suoi gruppi si mettessero a ragionare su queste parole, ma dubito che lo faranno.