Quando Umberto Bossi con Milosevic nella Belgrado sotto le bombe Nato …

‘Raccontini’ la rubrica, cronaca vera i fatti narrati. 1999, la bombe Nato sulla piccola Jugoslavia di Milosevic per la questione Kosovo. La volta in cui Bossi, arrivato nella Belgrado sotto tiro, non accettò di prendere in consegna i tre soldati Usa catturati in Serbia come ‘regalo’ da Milosevic. Dopo una telefonata di D’Alema da Washington. Poi arrivò il reverendo Jessie Jackson dall’America.

La Lega Nord separatista

Occorre tornare alla fine degli anni ’80, inizio ’90 e all’avvio semi eversivo della prima Lega Nord, per capire. Quel Bossi quasi Senatur, lo diventa nell’87, e le sue eclettiche simpatie per ogni movimento europeo secessionista, fosse anche armato. La disgregazione della vecchia Jugoslavia fu per lui ispirazione e frequentazione in campi di addestramento altrui. Con la solita confusa semplificazione alla Bossi, tra i malinconici fascio-ustascia croati allenatori di Camice Verdi, e i gli anti islamici serbi in Bosnia e Kosovo. Resta il fatto che allora l’Umberto quasi Senatur si guadagnò molte veline preoccupate dell’allora Sismi, che lo teneva d’occhio con diffidenza istituzionale.

Memoria corta e cose segrete

La memoria è corta e certe cose sono segrete. Anche se di alcune loro apparenze ne hanno parlato anche i giornali. Apparenze appunto. Ad esempio della mai spiegata visita di Umberto Bossi a Slobodan Milosevic nella Belgrado sotto bombardamenti Nato. Era il 23 aprile del 1999, vigilia del primo “complimese” dall’inizio della “Guerra umanitaria” e noi giornalisti occidentali in Serbia avevamo un bel po’ da fare in quei giorni. Solo 24 ore prima era stata colpita la residenza vuota di Milosevic. Quello stesso 23 aprile, alle 2,10 di notte, venne bombardata la sede della televisione con 16 vittime innocenti. Che ci faceva Bossi a Belgrado e che ce ne facevamo noi giornalisti di un Bossi a Belgrado?

Un fantomatico asse Jugo-padano

Qualcuno che sulla carta stampata aveva spazio da sprecare, racconta il giorno dopo che Umberto Bossi era arrivato a Belgrado sulla scia della speranza di una mediazione di pace, innescata dalle nove ore del vertice Cernomyrdin-Milosevic del giorno precedente. L’asse ‘Jugo-Padano’ dopo quello slavo ortodosso con la Madre Russia! Senza senso del ridicolo. Ricordo di avere messo il microfono davanti a Bossi per obbligo istituzionale Rai, chiedendomi cosa mai ne avrei potuto fare. Poi la Nato risolse a suo modo il problema semplicemente radendo al suolo la sede della “Rai” serba di via Aberdareva, ammazzando un po’ di colleghi tecnici (nessun giornalista trombettiere di Slobo) e impedendo la trasmettere qualsiasi servizio tv verso il mondo.

Prima la cronaca poi il segreto

Riprendo la cronaca di allora e poi svelo il segreto. Modello racconto giallo. Per Bossi è stata una faticosa visita lampo. Con lui altri due esponenti della Lega nord, l’onorevole Comino e Alberto Morandi. “Bossi si è trattenuto con il leader jugoslavo per circa un’ora e mezza, di mattina, dalle dieci e mezzo a mezzogiorno”, scrive qualcuno, e altre fonti mi confermano. Un testimone malevolo, successivamente ha raccontato che il politico italiano era molto teso e stanco. “Bossi si addormentò sulla sedia!». La rivoluzione leghista russa! Incontro brevissimo senza che i fotografi serbi in anticamera siano stati chiamati. Momento quasi da nascondere. Poi il Senatur è ripartito subito in macchina per Budapest, da dove si è imbarcato per l’Italia. Molto simile a una fuga, o a una cacciata perentoria.

Bossi-Milosevic amore infranto

Notte precedente agitata dunque quella di Bossi, e rabbia evidente successiva da parte di Milosevic. Perché? Ciò che manca per la storia sono i dettagli di un accordo segreto tessuto a lungo e una telefonata transoceanica che interruppe e tolse il sonno all’allora piccolo leghista del nord padano. Partiamo da cosa avrebbe dovuto essere e non fu. Dal 31 marzo, tre sprovveduti soldati americani in pattuglia sui confini Jugoslavi con la Macedonia a Kumanovo sbagliano sentiero e finiscono in casa altrui, catturati dai militari serbi. Colpo spettacolare per la propaganda ma presenza imbarazzante per Slobo. Andrew Ramirez, James Stone e Stephen Gonzales davanti alla corte marziale Jugo-serba. E poi? Milosevic, bistrattato dalla propaganda avversaria, era despota molto accorto.

Cercasi liberatore occidentale anti Nato

Serviva un “liberatore”, un oppositore interno nel mondo occidentale contrario all’intervento miliare Nato cui affidare i tre sprovveduti soldati americani. Gesto di nobiltà umanitaria, incasso politico immediato e un grattacapo in meno in casa jugoslava. Chi a Belgrado possa avere immaginato che l’interlocutore politico adatto potesse essere Umberto Bossi e la Lega Nord non è noto alla storia. Del resto si sa che Milosevic era molto mal circondato e peggio consigliato. Questo era lo scopo concordato tra Belgrado e Gemonio in due precedenti incontri. Di uno abbiamo la cronaca diretta. Il racconto è di Domenico Comino, ex ministro per le Politiche Europee del primo governo di Silvio Berlusconi.

Ex ministro gola profonda del Carroccio

Prima di diventare dissidente del Carroccio, Comino scrive. «Entrammo in Serbia con una macchina targata Zagabria e, ovviamente, ci fermarono nella piazzola di un distributore per controlli di routine. Il casino scoppiò quando scoprirono, sul passaporto di Roberto Maroni, il visto con lʼaquila americana. Figurati, quelli che erano bombardati dagli americani, insospettiti e temendo che fossimo delle spie chiamarono gli agenti della polizia politica, che ci fecero restare due ore in caserma. Dopodiché, arrivò il famoso tramite che gli spiegò che eravamo parlamentari e volevamo incontrare Milosević e così ci rilasciarono e perfezionammo i contatti per la terza missione».

‘Missione Libertà’ del Senatur

Missione Libertà col Senatur in persona sotto la bombe di Belgrado. Il secondo parlamentare italiano ad arrivare, dopo l’ultimo irriducibile comunista Cossutta che lo aveva preceduto, tanto per mettere un po’ in imbarazzo il mai amato D’Alema. Ma non sono le bombe a turbare la notte belgradese del Senatur. Una telefonata intercontinentale proprio dall’allora Presidente del Consiglio Massimo D’Alema, in quei giorni a Washington in visita ufficiale. Passaggio politicamente difficile e decisivo per l’ex comunista D’Alema che evidentemente sapeva di Bossi e che forse -avuti altri dettagli sulla missione leghista anche dall’intelligence statunitense- decide che quello “scambio di prigionieri” attraverso la Padania proprio non s’ha da fare. Telefonata perentoria.

Dopo Bossi, Jessie Jackson

E Bossi, il mattino dopo, di fronte a Milosevic che aveva predisposto l’operazione “Regalo”, semplicemente balbetta frasi di circostanza. Slobo si incazza. Fonti italiane e serbe indubitabili, le mie, alla base di questo racconto. Poi la quasi fuga attraverso la Vojvodina verso il confine ungherese e l’ordine del silenzio. Il primo maggio arriva a Belgrado il più deciso e presentabile reverendo Jesse Jackson, l’ex braccio destro di Martin Luther King, per ottenere la liberazione dei tre soldati Usa. Il 2 maggio i serbi consegnano i tre militari alla delegazione di Jackson. A premio “Colombe d’oro per la pace” condiviso a fine guerra al Quirinale, congratulazioni e scambio di omaggi colo Presidente Ciampi, con Jeassie Jackson condividiamo ricordi e qualche segreto washingtoniano belgradese. Ma questo non fa parte del racconto. Segreti, appunto.

Stature diverse (in tutti i sensi)

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