
Dopo una riunione di emergenza, ieri a Londra, tra il ministro Michael Gove e il vice-presidente della Commissione, Maros Sefcovic, che non ha sbloccato la situazione, l’Ue è partita al contrattacco. Con un duro comunicato, ha ingiunto a Londra di «precisare» e di «ritirare», al massimo «entro fine mese», il progetto di legge sul mercato interno, rivelato mercoledì, che per la Ue rappresenta una «violazione grave» di un trattato internazionale firmato da Londra.
Uno scambio durissimo di dichiarazioni, seguita dagli scossoni delle borse e da un immediato arretramento della sterlina. L’altolà di Bruxelles dal vice-presidente della Commissione, Sefcovic, che in una nota ha accusato il governo Tory di aver «seriamente danneggiato la fiducia tra Ue e Regno Unito» mostrandosi pronto a rinnegare un’intesa “ratificata” il cui rispetto «integrale è un obbligo legale».
Nelle parole di Sefcovic, condivise con i vertici dell’Unione e spalleggiate da vari governi nazionali – Parigi, Berlino e Dublino in testa – la spregiudicata mossa di BoJo e soci è del tutto inaccettabile. Qualcosa di molto vicino a un ‘adesso basta’.
Londra dai toni imperiali, «obblighi assunti ‘in buona fede’ in un trattato vengono graziosamente riconosciuti: ma non a scapito della «sovranità del Parlamento».
Londra contesta la frontier” che il Protocollo stabilisce nelle acque tra Inghilterra e Irlanda del Nord, accordo raggiunto per evitare una frontiera all’interno dell’isola irlandese, condizione della pace dal 1998. Londra vuole invece definire unilateralmente quali merci che viaggiano dalla Gran Bretagna all’Irlanda del Nord e sono “a rischio” di finire nella Repubblica irlandese, e quindi devono essere soggette a tariffe. Controllo del ‘dare’, ma libero ‘avere’. Inoltre, il governo Johnson vuole in modo unilaterale togliere l’obbligo di dichiarazione all’export per merci che transitano dall’Irlanda del Nord alle proprie coste. Per la Ue, porta aperta al ‘dumping’, un cavallo di Troia che può fare entrare nel mercato unico merci senza controllo (che non rispettano le norme sanitarie, ambientali, sociali).
Una battaglia giuridicamente più che controversa, giocata sul conflitto fra legislazione domestica e diritto internazionale. Una forzatura stile Boris che sta mettendo in crisi la stessa politica interna britannica. Anche a Londra c’è chi grida allo scandalo. Dalle opposizioni, a giuristi e diplomatici, a figure di rilievo della vecchia guardia Tory come John Major, Michael Howard o Theresa May. Tutti a denunciare la rivendicazione di una “violazione specifica e limitata del diritto internazionale”. «Un punto di non ritorno per la credibilità internazionale» del Regno. E la sua costante pretesa di dar lezioni a Paesi quali Cina, Russia o Iran».
Per Londra è un gioco d’azzardo, perché ha più da perdere con un no deal (47% del commercio estero della Gran Bretagna è con la Ue, viceversa è l’8%) e mette in crisi la ‘firma’ internazionale del paese.
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