
Coltivare, non piantare o seminare. Coltivare, prendersi cura. Della vite come del territorio. Come azione reale nel presente che produce futuro per la cultura della comunità che lo abita.
Vuol dire agire in modo rivoluzionario rispetto ai binari di questa epoca: agire nel lentius, profundius, suavius. Con quello spirito rurale sovversivo fatto di maggior lentezza, a fronte della frenesia del fare conformista; di profondità invece della superficialità delle conoscenze; della dolcezza con la quale vivono le relazioni umane.
Si possono fare mille azioni mediatiche per fare comunità virtuale, piantare mille alberi su commissione o per sentito dire, seminare parole e sperare che crescano nel vento. Ma coltivare cultura vuol dire misura, nel tempo e nello spazio, vuol dire agire nel quotidiano e nella pazienza, avendo un’idea di futuro. O, per lo meno, avendo idea che dopo di noi ci saranno i nostri figli, i nipoti. E che non dovranno vivere nel deserto dei sentimenti e dell’etica o nell’opacità di comunità mediaticamente omologate, private del proprio essere patrimonio.
Saremo giudicati dalle generazioni che verranno per quello che sapremo salvare dal saccheggio del profitto organizzato, per il bene comune che non cederemo alle lusinghe dell’interesse di pochi a danno dei molti. Se sapremo fare la nostra parte con umanità e non con miope cinismo. Se sapremo considerare l’insieme delle risorse ereditate dal passato come riflesso culturale di valori, credenze, conoscenze in continua evoluzione da mettere a disposizione di tutti.
Coltivare cultura vuol dire agire sul territorio per attivare e accompagnare la comunità a rigenerare tradizione, a essere nello stesso tempo interprete e costruttrice del patrimonio. Con consapevolezza e non delegando a terzi (per lo più spinti da interessi privati che confliggono con quelli collettivi) la valorizzazione dei territori, ma recuperando una visione gentile dei luoghi dell’abitare.
Serve lavoro. E sovversione degli schemi. Restituendo alla comunità una capacità che sembra perduta nelle beghe social o nelle deleghe in bianco a chi ha potere: la sensibilità con la quale percepisce, attribuisce valore al proprio territorio, alle sue memorie, alle sue trasformazioni, alla sua realtà attuale e a come vorrebbe che fosse in futuro.
In una misura che nello spirito rurale è la misura dei nostri sogni. Niente di più, niente di meno.