Serbia-Kosovo, nemici di sempre alla corte di Trump-Omaggio elettorale su Gerusalemme

Tanto rumore per nulla. Si potrebbe sintetizzare così l’accordo firmato ieri alla Casa Bianca dal presidente della Serbia Aleksandar Vucic e dal premier del Kosovo Avdullah, sottolinea Alessandra Briganti sul Manifesto. O peggio, tanto silenzio sospetto su alcune scelte decisamente discutibili. L’accordo che normalizza le relazioni economiche (molto poche) tra i due Paesi è stato siglato nel corso di una cerimonia allo studio Ovale della Casa Bianca a cui ha preso parte Donald Trump. Ma lo snodo, il prezzo da pagare, sono le due ambasciate a Gerusalemme.

I superlativi soliti alla Trump

«Una grande svolta» l’ha definita il presidente americano che ha poi annunciato la normalizzazione e la creazione delle relazioni diplomatiche tra Israele e Kosovo. E Belgrado –e qui il primo passaggio difficile da capire e da spiegare anche in patria- si è inoltre impegnata a trasferire la propria ambasciata a Gerusalemme entro il luglio 2021. La Serbia diventa è il primo Paese europeo a seguire l’esempio dell’amministrazione Trump che ha riconosciuto Gerusalemme come la capitale di Israele e trasferito lì la sua ambasciata. Forse l’amica Mosca non gradirà molto, e neppure molti in casa serba, ma di fronte a certi ‘regali’ in dollari si deve sempre dire ‘grazie’. Ma il Kosovo musulmano che metà dei paesi Onu neppure riconosce che tradisce i palestinesi e se ne andrà, misconosciuto da quasi tutti, a Gerusalemme? Su Pristina certamente pesa la imponente base kosovara Usa di Camp Bondsteel.

Gli applausi imbarazzanti

Serbia primo Paese europeo a rompere le convenzioni internazionali su Gerusalemme, sulla scia America trumpiana. Mossa di rottura e qualcuno in Europa, prima o poi a Vucic presenterà il conto. Ennesimo schiaffo ai palestinesi applaudito da Nethanyau, il quale però, accortamente sottolinea soprattutto la scelta ancora più ‘originale’ fatta fare da Washington al Kosovo, di fatto sua creatura. «Il Kosovo – ha dichiarato il premier israeliano – sarà il primo Paese a maggioranza musulmana ad aprire un’ambasciata a Gerusalemme. Il cerchio della pace e del riconoscimento di Israele si sta allargando e altri Paesi si aggiungeranno».

Altri codicilli seminascosti

Tra i punti dell’accordo diffuso dai media locali, anche il divieto di «utilizzare l’apparecchiatura 5G fornita da venditori inaffidabili» (a insindacabile giudizio Usa), e il riconoscimento di Hezbollah come organizzazione terroristica. Che fa sorridere pensando alla stessa UCK albanese kosovara, del 1999, che da ‘organizzazione terroristica’ con timbro Usa, fu redenta in un colpo ad Esercito di liberazione. Insomma, un accordo che ha poco a che vedere con il processo di pacificazione tra Kosovo e Serbia, e che guarda piuttosto al Medio Oriente e alla Cina.

Serbia e Kosovo piccole vetrine elettorali

L’obiettivo, anche piuttosto ridicolo considerata la scarsa rilevanza dei due Paesi nello scacchiere mediorientale, sembra infatti quello di arruolare Pristina e Belgrado nella battaglia anti-iraniana intrapresa da Trump. Diverso il discorso della Cina che proprio con lo scoppio della pandemia aveva intensificato i rapporti economici e politici con la Serbia, costellati da una serie di accordi e progetti che spaziano dalla difesa alle reti infrastrutturali. Rapporti che si erano intensificati a tal punto da mettere in guardia l’Ue e da far irritare persino la storica alleata della Serbia, la Russia, e che ora con la clausola sul 5G rischiano di incrinarsi.

Progressi regionali piccoli piccoli

Modesti invece i risultati ottenuti sul piano regionale. L’accordo, che dovrebbe costare a Washington 13 milioni di dollari, prevede il finanziamento di una serie di progetti infrastrutturali tesi a migliorare i collegamenti ferroviari, stradali, aerei tra Pristina e Belgrado in attuazione delle lettere d’intenti firmate all’inizio dell’anno, rimaste sinora lettera morta. Altra novità è l’inclusione del Kosovo nella mini-Schengen balcanica, un’iniziativa economica a cui avevano dato vita l’anno scorso Albania, Macedonia del nord e Serbia, guardata finora con scetticismo da Pristina, per facilitare il movimento di persone e merci tra i Paesi dell’area.

La montagna insomma ha partorito un topolino, ulteriori frizioni e sufficienti infamie, ma soprattutto ha offerto a Trump un palcoscenico su cui esibirsi ancora una volta nel ruolo dell’uomo degli accordi storici in vista delle presidenziali. Con buona pace dei Balcani e della loro instabilità che permane.

Nessuna parola, invece, sul riconoscimento reciproco tra Serbia e Kosovo, un risultato che neppure il presidente Usa può sperare di mettere in tasca in due giorni.

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