
Da Budapest la minaccia di fa approvare nel loro Parlamento la parte del bilancio Ue legato al Recovery fund, che ogni Stato dell’Unione deve siglare. «Vale a dire la parte sulle risorse proprie: l’istituzione di nuove tasse, una digital tax per i giganti del web, una carbon tax per chi esporta in Ue prodotti di industrie inquinanti, insomma nuovi introiti comunitari a garanzia del debito comune che la Commissione Ue creerà per mettere insieme i 750 miliardi del Recovery Fund». Gran parte dei soldi promessi all’Italia per far fronte al dopo Covid.
«Orban chiede che i nuovi fondi europei non siano legati a condizionalità severe sullo stato di diritto». Eppure, al Consiglio europeo di fine luglio, insieme al collega polacco Mateusz Morawiecki avevano esultato per l’intesa raggiunta sul pacchetto di aiuti per affrontare la crisi economica scatenata dal covid. Di fatto, i due Paesi della destra post comunista sul fronte est, erano riusciti a ottenere condizionalità molto blande sullo stato di diritto. «Ma ora Orban deve vedersela con la maggioranza dei gruppi parlamentari dell’Eurocamera che chiede paletti più rigidi intorno all’erogazione di fondi europei per quei governi che non rispettano lo stato di diritto e che rappresentano ormai da tempo esempi di democrazia illiberale in Europa».
«Senza l’approvazione della parte sulle risorse proprie nei Parlamenti nazionali, si blocca una fetta consistente di tutto il piano», ci ricorda la specialista di cose europee. «Il Recovery fund nascerebbe senza la garanzia di come ripagare il debito comune. A farne le spese, potrebbe essere il prossimo bilancio europeo 2027-2033. Ma soprattutto, senza nuove risorse proprie, questo debito comune non avrebbe futuro: sarebbe condannato a restare una ‘una tantum’. E una ‘una tantum’ non può chiamarsi ‘debito comune’». «Nuove risorse perché il peso del debito comune europeo non debba ricadere sul prossimo bilancio: significherebbe farlo cadere sulle spalle delle prossime generazioni». Altro che piano ‘Next generation Eu’.
Isolare sempre di più la posizione ungherese, che non può permettersi di procedere sempre per strappi, è la rabbia trasversale sussurrata. Da anni l’Ungheria è beneficiaria netta dal bilancio europeo (più prendere che dare), e per i fondi europei stanziati per la lotta al Coronavirus, secondo una stima di Dansk Radio, l’emittente radiofonica pubblica danese, riceverà dal bilancio dell’Unione europea 570 euro ad abitante, una somma 15 volte superiore a quella assegnata all’Italia, denuncia qualche parlamentare. «Orban sa che il recente sviluppo economico dell’Ungheria è stato finanziato dai fondi europei». «L’Europa, comunità di valori, è giusto che i fondi che elargisce condizionati al rispetto delle regole minime di convivenza democratica, cosa che purtroppo troppe volte Orban ha negato».
«Il Parlamento europeo invece, già nell’autunno del 2018, ha votato un documento di condanna contro Orban, chiedendo al Consiglio di aprire la procedura prevista dall’articolo 7 del Trattato in caso di violazione dei diritti fondamentali come democrazia, Stato di diritto e diritti umani». Ora sta alla presidenza di turno tedesca trovare la soluzione. Con la cancelliera costretta a scegliere tra il veto minacciato da Orban e quello minacciato dal Parlamento europeo, scontento sia per la formulazione blanda sullo stato di diritto decisa dai leader Ue a luglio, sia per le mancate decisioni sulle risorse proprie.
Di certo, il recovery fund (e l’Italia) non può fare a meno del sì dell’Ungheria, ma non può nemmeno permettersi il no dell’Eurocamera.
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