7 ANNI FA- Siria, e la ‘Pistola fumante’ che scottò tra le mani di Obama

1° settembre 2013

Assad non è mai stato un bravo ragazzo e gli Stati Uniti non sono mai stati il braccio armato di Dio. Date queste premesse base, diventa interessante la lettura dell’insospettabile Center for Strategic and International Studies (Csis), uno dei più rispettati think-tank americani. A ricordarci la ben strana storia della «Pistola fumante», la prova irrefutabile che il cattivissimo Saddam Hussein possedeva micidiali armi di distruzione di massa con cui minacciava il Medio Oriente e la pace mondiale.

Poi fu Trump e questi sono zuccherini

L’analista Anthony H. Cordesman, ragionando di Siria, ci ricorda come circa dieci anni fa -il 5 febbraio 2003- l’allora segretario di Stato Usa Colin Powell era caduto nella trappola di una dichiarazione totalmente falsa alle Nazioni Unite sulle armi irachene di distruzione di massa. L’ammissione dell’ex comandante della prima guerra del golfo in nome e per conto della famiglia Bush è netta. “Ho raccontato balle al mondo perché le fonti dell’intelligence Usa erano tutte fasulle” ammette.

Per gli anglofoni la frase testuale: «It turned out, as we discovered later, that a lot of sources that had been attested to by the intelligence community were wrong…I understood the consequences of that failure and, as I said, I deeply regret that the information – some of the information, not all of it – was wrong…It has blotted my record, but – you know – there’s nothing I can do to change that blot. All I can say is that I gave it the best analysis that I could». Accadde allora. Oggi c’è da fidarsi?

Dettaglio allarmante di quel rapporto del Senate Selected Committee. Non solo occorre stare molto attenti alle ragioni della cosiddette Guerre Umanitarie certificate dagli apparati di spionaggio, ma è necessario badare e diffidare delle date di scadenza previste dagli strateghi. L’idea di un po’ di bombe e una manciata di missili e poi via. Il Csis ricorda come allora, caso armi vietate irachene, era previsto che le forze Usa avrebbero lasciato l’Iraq entro 90 giorni dalla caduta di Saddam.

Allora ci furono pressioni politiche sugli analisti, si disse di legami inesistenti dell’Iraq con il terrorismo, vi fu un abuso sistematico di fonti spionistiche da parte di politici sino a mettere in pericolo fonti e a screditare metodi di acquisizione. Col risultato di lasciate un Iraq diviso e non più in grado di contenere l’Iran, legittimando i sospetti russi e cinesi che l’attuale politica statunitense favorirebbe di fatto l’instabilità regionale e l’estremismo islamico invece di contenerlo e batterlo.

E oggi? L’amministrazione Obama -ammonisce il centro di studi strategici- deve produrre una nuova serie di documenti per dimostrare che l’azione in Siria si basa su una decisione chiara da parte alti funzionari del regime siriano di usare armi chimiche su larga scala contro la popolazione. Nel dilemma di dover convincere il mondo dopo il precedente inganno iracheno, ed assieme limitare ciò che verrà reso pubblico per proteggere le fonti e i metodi di intelligence statunitensi.

Tags: oBAMA Siria
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